Lettere di richiamo a 1.500 operatori sanitari non vaccinati

Non si definiscono «no vax», ma la sostanza non cambia. Infatti, malgrado l’obbligo di legge, non si sono (ancora) vaccinati contro il Covid. Nel Bresciano si stima siano circa tremila gli operatori sanitari (il 10% circa del totale) che non si sono sottoposti a vaccinazione già dallo scorso gennaio, in quanto categorie prioritarie. Nessuno, al momento, è stato sospeso o allontanato dall’incarico. La metà di loro proprio in questi giorni sta ricevendo una lettera di convocazione da parte dell’Ats (Agenzia di tutela della Salute) di Brescia. Alle autorità sanitarie devono spiegare la ragione della loro scelta. Meglio, del loro essere fuorilegge. Il decreto legge Covid Aprile, infatti, è stato convertito in legge da una settimana e prevede l’obbligo di immunizzazione da parte degli operatori sanitari.
«Abbiamo spedito circa 1.500 lettere, ma sono dati parziali perché gli elenchi dalla Regione arrivano alla spicciolata - spiega Claudio Sileo, direttore generale Ats Brescia -. Sono elenchi che arrivano con nomi e cognomi e qualifica, ma senza l’indicazione del datore di lavoro. Dunque, noi non sappiamo se un infermiere, ad esempio, è occupato al Civile o in una Rsa. Così per le altre professioni». Gli elenchi sono parziali anche perché i datori di lavoro - pubblici e privati - e gli Ordini professionali, pochi giorni dopo l’entrata in vigore del Decreto lo scorso aprile hanno trasmesso alla Regione l’elenco dei dipendenti operatori sanitari, o degli iscritti, completi di dati di residenza.
La legge recita: «L’Ats di riferimento invita gli interessati a fornire la documentazione richiesta entro cinque giorni (dal ricevimento della lettera, ndr), ovvero la presentazione della richiesta di vaccinazione (in tale caso, l’interessato deve comunicare all’Ats entro tre giorni la ricevuta somministrazione) o il documento attestando le condizioni cliniche (documentazione che certifica la controindicazione alla vaccinazione, ndr)». Il datore di lavoro. In caso di inosservanza, l’Ats la comunica all’interessato, all’Ordine di riferimento e al datore di lavoro. Il direttore di Ats Brescia: «Certo, ma a quale datore di lavoro se nemmeno a noi viene comunicato?».
Cosa accade al lavoratore? «Il datore di lavoro è tenuto ad adibire, se possibile, il dipendente a mansioni che non implicano rischi di diffusione. Qualora non possibile, per il periodo di sospensione (la legge prevede che la sospensione dei lavoratori vada avanti fino al completamento del piano vaccinale nazionale o, comunque, non oltre il 31 dicembre 2021, ndr) non verrà riconosciuto lo stipendio».
«Tra gli operatori sanitari che abbiamo convocato, nessuno ha dichiarato di essere in assoluto contrario alla vaccinazione - spiega Sileo -. Molte le argomentazioni di salute addotte, anche se nella maggioranza dei casi non supportate da una documentazione medica che certifichi la controindicazione al vaccino. Molti, anche, hanno detto di aver atteso perché non erano così sicuri che il vaccino funzionasse». Insomma, che vadano avanti gli altri, poi vedremo. Per Sileo la legge ha un valore soprattutto per chi lavora in proprio: «Credo che sia diritto del paziente sapere se queste figure professionali sono vaccinate o meno».
Per chi è dipendente di un ospedale, si sarebbe potuta percorrere un’altra strada, certamente meno impervia e più veloce per raggiungere l’obiettivo. Come? Ricorrendo al «medico competente», un «sanitario che collabora ad effettuare la valutazione dei rischi e mette in atto la sorveglianza sanitaria tutelando lo stato di salute e la sicurezza dei lavoratori». Quindi, se non vaccinati, chiedendone la destinazione ad altri settori. In un ospedale, o in altre strutture sanitarie o sociosanitarie, medici ed infermieri non vaccinati contro il Covid-19 - oltre a mettere a rischio i pazienti e i colleghi - sono indubbiamente ancora a rischio anche loro perché, come è noto, il virus non è stato eradicato.
Lo scenario della sospensione, o dello spostamento in altro settore, pone tuttavia un’altra serie di problemi non di poco conto. Se si spostano, è solo un esempio, due infermieri da un reparto ospedaliero, è possibile assumerne altrettanti per garantire l’assistenza e i turni di lavoro, considerato che siamo pure in periodo di ferie? Qualora lo fosse, il mercato offre in tempo reale un numero sufficiente di personale qualificato, e vaccinato, da inserire nelle strutture?
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