Le carte Cultura e del Merito al posto di 18App hanno diversi limiti

Solo l'8,4% dei bresciani ha preso 100 alla maturità. E il nuovo buono in via d'approvazione «rischia di acuire disuguaglianze»
Il bonus cultura per 18enni può essere usato anche per l'acquisto dei libri - Foto New Reporter Favretto © www.giornaledibrescia.it
Il bonus cultura per 18enni può essere usato anche per l'acquisto dei libri - Foto New Reporter Favretto © www.giornaledibrescia.it
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Alla fine del giorno in cui il ministero dell'Istruzione ha rinfocolato una vecchia discussione sui cellulari in classe pubblicando una circolare su un divieto già esistente, arriva anche la proposta del nuovo bonus cultura per i diciottenni, su cui si era parecchio dibattuto nelle ultime settimane. Al posto di 18App l'emendamento approvato dalla Commissione Bilancio della Camera nella notte tra martedì e mercoledì prevede due carte, da 500 euro ciascuna e cumulabili per un totale di 1000 euro, alle quali si potrà accedere in base a criteri di reddito (Isee non superiore ai 35mila euro) e di merito (100 o 100 e lode alla maturità). 

Entrambi i requisiti riducono notevolmente la quota di 18enni che potranno accedere ai buoni per la cultura sostenuti dal governo di Giorgia Meloni, in via di approvazione all'interno della legge di Bilancio. In particolare il merito: se si guardano per esempio gli ultimi dati della maturità in provincia di Brescia, potrebbero farne richiesta soltanto 715 ragazze e ragazzi su 8514 diplomati, cioè l'8,4% che ha preso 100 o 100 e lode. Ma oltre ai numeri irrisori, anche impostare un bonus sul concetto di merito così inteso rischia di escludere proprio quelle persone che invece avrebbero più bisogno di occasioni culturali al di fuori della scuola.

Cos'è il bonus cultura

La 18App o bonus cultura è uno strumento introdotto nel 2016 dal governo Renzi che consente a chi ha 18 anni ed è residente in Italia o con permesso di soggiorno, senza limiti di reddito familiare, di spendere 500 euro in consumi culturali come libri, spettacoli, cinema, concerti, abbonamenti ai giornali e visite ai musei. 

Mercoledì notte la commissione Bilancio della Camera ha approvato l'emendamento da introdurre nella manovra finanziaria per sostituire la 18App con due nuovi bonus basati sul reddito e sul merito. Sono entrambi da 500 euro e sono cumulabili: il primo si chiamerà Carta Cultura Giovani ed è legato al reddito, quindi può accedervi chi ha 18 anni e appartiene a un nucleo familiare con Isee di massimo 35mila euro; il secondo è la Carta del Merito e sarà ottenibile da chiunque prenda 100 centesimi alla maturità. Se poi il diplomato o la diplomata con il massimo dei voti ha anche un Isee inferiore a 35mila euro, allora il bonus da 500 euro può raddoppiare.

L'emendamento prevede un finanziamento per questa misura fino a un massimo di 190 milioni di euro annui, 40 milioni in meno rispetto allo scorso anno quando le risorse per il bonus cultura ai 18enni ammontavano a 230 milioni. La modifica attuale è firmata dal presidente della Commissione cultura della Camera Federico Mollicone di Fratelli d'Italia, da Rossano Sasso della Lega e da Rita Dalla Chiesa di Forza Italia. «Il ministro Sangiuliano - ha detto Mollicone- convocherà un tavolo ai primi di gennaio per un nuovo regolamento coinvolgendo tutte le associazioni di categoria». Inizialmente l'emendamento al bonus cultura, poi ritirato, prevedeva che parte dei 230 milioni di euro di 18App venissero reinvestiti per i lavoratori dello spettacolo.

Quanti diplomati con 100 ci sono in Italia

L'emendamento al bonus cultura è già stato criticato da molti per diverse ragioni. Innanzitutto fa discutere il criterio del merito dal momento che se si considera il punteggio massimo la platea dei beneficiari di riduce in modo considerevole. Agli ultimi esami di maturità soltanto il 12,8% dei diplomati in Italia ha infatti preso un voto tra 100 e 100 e lode. Oltre a essere una percentuale bassa, ci sono anche differenze sostanziali tra le regioni: la maggior parte dei voti più alti si concentra al Sud, dove però gli studenti ottengono risultati sensibilmente peggiori rispetto al Nord nei test Invalsi, considerati più oggettivi perché appunto uguali per tutti al contrario delle prove della maturità degli ultimi anni, modificate durante la pandemia. 

In base ai dati diffusi a luglio dal ministero dell'Istruzione, il 9,4% dei diplomati e delle diplomate ha preso 100 e il 3,4% ha preso 100 e lode. La distribuzione dei voti è simile a quella dell'anno scorso, con però un calo dei 100 e 100 e lode che passano complessivamente dal 16,7% al 12,8%. Guardando però alla suddivisione regionale, si nota che il punteggio massimo alla maturità è stato ottenuto dal 19,4% degli studenti della Calabria, dal 18,3% della Puglia, dal 13,8% della Sicilia e dal 15,8% dell'Umbria. In fondo della classifica ci sono la Lombardia con l'8,2%, il Friuli Venezia Giulia con il 9,7% e Piemonte e Veneto con il 9,8%.

Stando ai dati dell'Ufficio scolastico regionale integrati dall'Ufficio scolastico provinciale, in provincia di Brescia su 8514 diplomati nell'anno scolastico 2021-22 solo il 6,98% ha preso 100 centesimi, l'1,42% anche la lode. 

Nella mappa qui sotto potete vedere le percentuali di tutte le regioni scorrendoci sopra con il cursore da desktop o cliccando sulla regione che vi interessa da smartphone.

Questa invece la mappa dei 100 e 100 e lode nelle province lombarde all'ultima maturità. Cremona, Lodi e Mantova sono quelle con la percentuale maggiore di voti più alti.

Se invece si vanno a vedere i risultati delle prove Invalsi - che valutano i livelli di italiano, matematica e inglese degli studenti - i risultati si invertono. Per le scuole secondarie di secondo grado, in Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia e Sardegna gli studenti sono in media sotto al livello minimo richiesto di italiano, mentre non raggiungono il livello base di matematica gli studenti di quinta superiore di Lazio, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia e Sardegna. Al contrario le regioni del Nord ottengono complessivamente risultati migliori: in Lombardia per esempio quasi il 76% dei maturandi dell'anno 2020-21 ha ottenuto un livello più che sufficiente in italiano, il 65,6% in matematica, più del 64% ha un B2 nel reading di inglese e il 54,1% anche nel listening.

Vista la discrepanza tra i risultati della maturità e degli Invalsi, alcuni - tra i quali il Foglio - suggeriscono che, se proprio si deve, sarebbe meglio adottare come criterio di merito l'esito degli Invalsi, che prevedono prove uguali in tutta Italia.

Un concetto limitante

Al di là dei numeri però, i nuovi criteri d'accesso al bonus cultura aprono a una riflessione più ampia sul merito così inteso. Lo spiega Paola Zini, ricercatrice e docente di Pedagogia generale e sociale all'Università Cattolica del Sacro Cuore di Brescia: «L'utilizzo della Carta del Merito mi sembra limitante. Chi ha preso 100 alla maturità probabilmente usufruisce già di occasioni culturali come visite ai musei, mostre, cinema. Invece mantenere il bonus esteso a tutti poteva essere una bella opportunità per spingere chi queste cose non le fa normalmente e non ha voti alti».

L'importanza di un buono cultura accessibile da chiunque è importante perché, prosegue Zini, «la cultura offre l'occasione di contrastare la povertà educativa e culturale, aumentata durante la pandemia. Per questo andrebbe offerta a tutti, come prevede peraltro anche l'Agenda 2030. Così rischiamo di tagliare fuori proprio chi ne avrebbe più bisogno e di acuire altre disuguaglianze sociali». Per la ricercatrice i bonus sono un utile supporto alla scuola perché favoriscono le occasioni di apprendimento informale di ragazzi e ragazze, cioè quelle che si vivono fuori dalle classi come leggere un libro o andare a un museo e che «sono fondamentali per lo sviluppo socio-cognitivo ed emozionale». D'altra parte, osserva Zini, è importante che anche la scuola si impegni di più a valorizzare queste occasioni: «Se un ragazzo va al cinema la sera non deve essere vissuto come un ostacolo».

Le reazioni

Le critiche all'emendamento di 18App sono arrivate anche da più parti politiche. «Quello che sta accadendo in queste ore è tecnicamente uno dei più grandi scandali a cui io ho assistito da quando sono in Parlamento» ha detto Matteo Renzi, senatore di Azione-Italia Viva che era presidente del Consiglio quando è stata introdotto per la prima volta il bonus cultura per i 18enni. Irene Manzi, capogruppo Pd in Commissione Cultura, ha spiegato: «Tagliano i fondi, complicano le procedure, e concepiscono l'accesso alla cultura come un premio e non come un diritto universale. Confermano così quella idea distorta di merito che è premiare chi già ce la fa, punire chi fa fatica. Una visione paternalista che penalizza solo i più giovani e l'intero comparto culturale». 

Ma sono soprattutto le categorie a essere critiche. «Siamo preoccupatissimi» ha commentato il presidente dell'Associazione italiana editori (Aie) Ricardo Franco Levi. «Non solo la soglia Isee esclude una parte rilevante dei ragazzi, ma le complicatissime procedure necessarie ad accedere al provvedimento scoraggeranno anche tutti gli altr. Così - aggiunge Levi - si indebolisce una misura che ha raggiunto risultati di assoluto rilievo, conquistando alla lettura 183mila giovani che l'avevano abbandonata negli anni precedenti la maturità». Anche Impresa Cultura Italia-Confcommercio condivide l'appello rivolto dall'Aie e dall'Associazione Librai Italiani (Ali) per un confronto rapido ed efficace. «Non ci convince - dichiara Carlo Fontana, presidente di Impresa Cultura Italia - la scelta di ridurre la platea dei beneficiari attraverso una selezione Isee, soprattutto perché l'obiettivo del bonus cultura riconosciuto ai giovani attraverso la App18 era differente: non uno strumento di sostegno economico a fasce disagiate della popolazione, bensì uno strumento per avvicinare tutti i giovani alla ricchezza e al valore della cultura. Così come rivisitato, tale obiettivo risulta fortemente depotenziato».

Federculture chiede dunque che il governo Meloni accolga la richiesta che viene da tutte le organizzazioni e dagli operatori della cultura di lasciare inalterata la norma, salvo aprire successivamente un tavolo di confronto per valutare eventuali modifiche o forme evolutive del provvedimento.

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