Inchiesta Covid, archiviate le posizioni di Conte e Speranza

Il tribunale dei ministri di Brescia ha accolto richiesta della Procura guidata da Prete: secondo i giudici «il fatto non sussiste»
Speranza e Conte durante la riunione nella sede della Protezione Civile sull'emergenza coronavirus - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
Speranza e Conte durante la riunione nella sede della Protezione Civile sull'emergenza coronavirus - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
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«La notizia di reato, per entrambi gli indagati, è totalmente infondata». Con queste parole il Tribunale dei ministri di Brescia ha accolto la richiesta della Procura guidata da Francesco Prete e ha archiviato la posizione dell’ex premier Giuseppe Conte e dell’ex ministro della Sanità Roberto Speranza, nell’ambito dell’inchiesta sulla gestione della prima fase della pandemia nel 2020.

I giudici del Tribunale dei ministri - tutti civilisti con la presidente Maria Rosa Pipponzi presidente della sezione Lavoro - hanno accolto la richiesta di archiviazione per l’ex premier Conte e l’ex ministro Speranza «perché il fatto non sussiste», sposando la linea della Procura di Brescia che aveva sollevato una serie di ragioni, e di fatto che hanno smontato l’ipotesi accusatoria dei colleghi di Bergamo.

«Non è configurabile il reato di epidemia colposa in forma omissiva in quanto la norma in questione abbraccia la sola condotta di chi per dolo o per colpa diffonde germi patogenie, quindi la responsabilità per omesso impedimento di un evento che si aveva l'obbligo giuridico di impedire risulta incompatibile con la natura giuridica del reato di epidemia» scrive il tribunale dei Ministri nelle 29 pagine di archiviazione di Conte e Speranza.

La posizione di Speranza

Sulle contestazioni mosse all’ex ministro Speranza, archiviando la posizione, il Tribunale dei ministri di Brescia scrive: «Le omissioni e i ritardi descritti dalla nota di trasmissione della Procura di Bergamo riguardano attività amministrative, distinte dalle funzioni ministeriali di indirizzo politico amministrativo, di esclusiva pertinenza del Segretario generale del Ministero della Salute e delle Direzioni generali. Al Ministro della Salute era preclusa qualsiasi ingerenza nello svolgimento di tali attività. Non è stata ipotizzata, e non è comunque ravvisabile negli atti di indagine compiuti, alcuna interferenza del ministro nell'attività degli organi burocratici ai quali spettava la funzione di amministrazione attiva (in particolare, non risulta che gli abbia indotto i dirigenti ministeriali a ritardare od omettere le azioni di sorveglianza epidemiologica, di sanità pubblica, di verifica delle dotazioni dei dispositivi medici e delle risorse necessarie a contrastare la diffusione virale nonché a curare i pazienti e, infine, di formazione del personale sanitario). In conclusione, deve essere esclusa la responsabilità penale dell'onorevole Roberto Speranza in ordine ai fatti ascrittigli».

Per il Tribunale dei ministri, «il piano pandemico del 2006 non era per nulla adeguato ad affrontare la pandemia da Sars-CoV-2. Il Prof. Merler e il dott. Greco, tra gli autori del Piano del 2006, nelle sommarie informazioni da loro rese, si sono espressi in termini drastici circa l'inutilità di quel piano per affrontare la pandemia. Il ministro Speranza, quindi, lungi dal rimanere inerte, ha adottato le misure sanitarie propostegli dagli esperti di cui si è avvalso, che peraltro, a livello europeo, sono state tra le più restrittive. Infine, anche ove fosse astrattamente prospettabile, cosa che non è, il reato di epidemia colposa per condotta omissiva impropria, data la natura stessa della pandemia da Sars-CoV-2, che ha coinvolto l'intera umanità, sarebbe comunque irrealistico ipotizzare che la stessa sia stata cagionata, anche solo a livello nazionale, da asserite condotte omissive quali quelle contestate al ministro Speranza».

La posizione di Conte

L'ex ministro della Sanità Roberto Speranza e l'ex premier Giuseppe Conte
L'ex ministro della Sanità Roberto Speranza e l'ex premier Giuseppe Conte

All’ex premier Giuseppe Conte veniva contestata dalla Procura di Bergamo la mancata istituzione della zona rossa nella Bergamasca. Sul punto il Tribunale dei ministri che ha archiviato le accuse scrive: «Posto che non risulta che il Presidente del Consiglio Conte, prima del 2 marzo 2020, fosse stato informato della situazione dei comuni di Nembro e Alzano Lombardo, stando all'imputazione, l'allora presidente del Consiglio Conte avrebbe dovuto decidere, circa l'istituzione della zona rossa, proprio il 2 marzo 2020, ossia non appena avuta informazione della situazione dei due comuni. Si tratta, evidentemente, di ipotesi irragionevole perché non tiene conto della necessità per il Presidente del Consiglio di valutare e contemperare i diritti costituzionali coinvolti e incisi dall'istituzione della zona rossa. Ed infatti l'istituzione della zona rossa comporta il sacrificio di diritti costituzionali quali il diritto al lavoro, il diritto di circolazione, il diritto di riunione, l'esercizio del diritto di culto».

Sulla scelta della zona rossa per il tribunale dei Ministri di Brescia, scagionando da ogni accusa l’ex premier Conte conclude: «Si tratta quindi di valutazioni che, per la loro gravità, non è esigibile e neppure auspicabile che vengano assunte senza un'adeguata ponderazione dei dati di conoscenza acquisiti, del loro grado di certezza e delle conseguenze derivanti dall'istituzione di una zona rossa.

Sotto questo profilo la condotta ascritta all'allora presidente del Consiglio Conte di non aver esteso la zona rossa il 2 marzo 2020, sulla base di quanto quel giorno rappresentatogli, non è neppure astrattamente configurabile. Anche a prescindere da questa considerazione, da ritenersi assorbente, va inoltre ricordato che l'Italia e il mondo intero hanno affrontato una situazione epidemiologica paragonabile, per la sua estensione, solo alla Spagnola del 1918, in cui peraltro, data la guerra in corso, la preoccupazione, almeno nei paesi belligeranti, non era certo quella di istituire zone rosse o simili».

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