Guerra in Israele, Brescia non si divida nel nome della pace

La pace che divide invece che unire. La rincorsa a sottolineare le differenze di opinione, che scavano solchi, a discapito dei principi che saldano. L’uso di un linguaggio talvolta aggressivo, se non peggio (specie sui social), tutt’altro che ispirato ai valori della pace. La polemica sui colori delle bandiere da esporre, che cela una precisa contrapposizione politica. Il massacro di civili israeliani da parte di Hamas e la risposta di Tel Aviv hanno scosso gli animi, le menti e le coscienze dei bresciani. Com’è giusto.
Era stato così anche nel febbraio dell’anno scorso, con l’invasione russa dell’Ucraina. La reazione alla vicenda medio orientale, tuttavia, ha assunto forme specifiche. Segnando, appunto, divisioni nella società e nella politica bresciane (in parte ricucite, vedi il dibattito in Loggia di ieri). Nei giorni scorsi, in città, si sono tenute alcune manifestazioni senza colore; altre di segno particolare, pro o contro l’una oppure l’altra parte; ricordiamo poi la polemica sul ritiro o meno del Premio per la pace assegnato a Patrick Zaki.
Il documento
Fra le novità c’è il documento condiviso ieri fra la maggioranza e l’opposizione in Loggia; un segnale positivo, che riporta il confronto nei giusti binari di un linguaggio e di una visione comune nel nome della pace.
La questione palestinese, la politica israeliana, i rapporti fra l’Occidente e il mondo arabo sono da sempre temi sensibili e divisivi nell’opinione pubblica, anche in casa nostra. In questi giorni ancora di più. Talvolta, però, è stata forte la sensazione di assistere quasi ad una sorta di tifo, con il ricorso ad argomenti politici, storici, ideologici a favore di una parte o dell’altra. Una contrapposizione alla ricerca del (più) cattivo, che tuttavia penalizza il rispetto dovuto alle vittime civili del conflitto. Come se il contrasto delle opinioni oscurasse la pietà per bambini, donne e vecchi massacrati, israeliani o palestinesi. La passione politica non può mai cancellare il senso di umanità.Il dialogo
Brescia, la città medaglia d’oro del Risorgimento e d’argento della Resistenza, ferita dalla Strage del 28 Maggio 1974, coltiva da sempre sentimenti ispirati alla libertà, al dialogo, al confronto, alla civile convivenza. Il Festival della pace promosso dal Comune capoluogo è una testimonianza concreta in questo senso. Del resto, Brescia non avrebbe superato la tragedia della Strage senza il suo forte ancoraggio ai valori della democrazia. Costruire la pace significa scegliere la conoscenza contro il pregiudizio, la comprensione invece dello spirito di parte, la pietà piuttosto che l’astio e il rancore, le idee che alimentano le opinioni. Significa, anche, lasciare il necessario spazio al silenzio, che sia riflessione e/o preghiera, in luogo di prese di posizione affrettate.
Nei giorni scorsi Brescia ha ospitato un dibattito fra l’ex brigatista rosso Franco Bonisoli, che partecipò all’agguato di via Fani, e Agnese Moro, figlia dello statista rapito e poi assassinato. Il confronto, il dialogo, la condivisione del dolore (si chiama giustizia riparativa) li hanno fatti diventare addirittura amici. Una riconciliazione che ha cancellato i sentimenti di vendetta, esaltando i valori della vita. Il conflitto palestinese-israeliano ha ovviamente dimensioni e valenze diverse. Ma la testimonianza ha comunque un valore generale.Ci ricorda che a prevalere deve sempre essere la ricerca di una sintesi che premia la coesione. Il dialogo (anche se magari lascia ciascuno sulle proprie posizioni) è la premessa per regolare i conflitti (personali, politici, economici, culturali) nella nostra società, per fortuna senza guerra. Perché solo con il dialogo riconosciamo l’altro e le sue ragioni. Brescia ha una tradizione in questo senso, da rafforzare. La ricerca della pace ci deve unire, non dividere.
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