Gornji Vakuf 30 anni dopo, i genitori di Sergio Lana: «Abbiamo perdonato»

Franca e Augusto raccontano, dalla loro casa di Gussago, come hanno vissuto dopo la strage del 29 maggio 1993
Augusto e Franca Lana, con il rosario e il ritratto del figlio Sergio -  © www.giornaledibrescia.it
Augusto e Franca Lana, con il rosario e il ritratto del figlio Sergio - © www.giornaledibrescia.it
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«Il sangue di mio figlio Sergio ha un solo prezzo: la verità, che ancora non conosco tutta intera». Franca Lana ha lo sguardo sereno e il tono determinato di una madre che da trent’anni si ripete le stesse domande. Perché e chi ha premuto il grilletto quel sabato 29 maggio 1993 a Gornji Vakuf? La giustizia bosniaca e italiana hanno condannato Hanefija Prijic a vent’anni di carcere, già scontati.

Dalla fine di agosto del 2018 il comandante Paraga, a capo della formazione paramilitare bosniaca responsabile del massacro, è libero nel suo Paese. Nonostante le prove schiaccianti, ha sempre negato di avere ordinato di uccidere Sergio, 20 anni, Fabio Moreni, 39, e Guido Puletti, 40. Restano ignoti gli esecutori, come le ragioni dell’eccidio. Mezzi, aiuti, denaro contante costituivano un bel bottino: ma perché la strage? «Vorrei saperlo non per vendetta, ma per Sergio, Guido e Fabio». Del resto, «quando, durante il processo a Brescia nel 2017, io e mio marito Augusto abbiamo potuto incontrare Paraga per pochi minuti - rivela Franca - gli ho detto "Pace e bene", facendogli capire che l’abbiamo perdonato. Desideravo tanto vederlo per dirglielo. Gli ho stretto la mano».

Il comandante Paraga - Foto © www.giornaledibrescia.it
Il comandante Paraga - Foto © www.giornaledibrescia.it

L’addio

Siamo nella casa della famiglia Lana, a Civine di Gussago. Dove, la mattina di venerdì 28 maggio 1993, Franca e Augusto hanno salutato il loro unico figlio per l’ultima volta. «Ero inquieta, preoccupata per quel viaggio», racconta Franca. Era la quinta missione umanitaria di Sergio in Bosnia. «Io e lui, fra il Natale del 1992 e i primi mesi del 1993, ci eravamo già andati insieme quattro volte - spiega papà Augusto - ma in zone più sicure». Quell’ultima mattina, sulla soglia di casa, Franca chiese a Sergio una cosa che faceva mai: un bacio. «Me ne diede due: "Così sei contenta", mi rispose. Andò via felice».

Sergio Lana - © www.giornaledibrescia.it
Sergio Lana - © www.giornaledibrescia.it

La famiglia Lana è molto religiosa. Augusto, Franca e Sergio partecipavano ad un gruppo di preghiera ed è in quell’ambito che maturò la scelta familiare di soccorrere le popolazioni della Bosnia Erzegovina. Un conoscente mise a disposizione il suo capannone a Ghedi come deposito per gli aiuti. Fu così che Sergio si aggregò ai volontari Caritas di Ghedi. Padre e figlio avevano incontrato Fabio Moreni in uno dei viaggi fatti insieme. «Una persona animata dalla voglia di fare del bene», lo ricorda Augusto. «Diceva: io non ho moglie e figli, posso fare missioni con qualche rischio». Alle preoccupazioni manifestate dalla madre per quella missione, Sergio rispose: «Anch’io non ho famiglia». Poi, un sorriso e un tocco sulla spalla di Franca: «Tanto voi vi arrangiate senza di me».

La Casa della Misericordia a Ghedi voluta dalla Cooperativa Sergio Lana e dal Gruppo 29 maggio ’93 Bosnia -  © www.giornaledibrescia.it
La Casa della Misericordia a Ghedi voluta dalla Cooperativa Sergio Lana e dal Gruppo 29 maggio ’93 Bosnia - © www.giornaledibrescia.it

La fede

Franca mostra un foglio di protocollo autografo: la richiesta di servizio civile di Sergio in sostituzione della leva militare. «La mia fede - spiegava Sergio - mi insegna che le armi provocano sempre morte e distruzione di vite umane. Quindi non posso che essere contrario all’insegnamento di tecniche di guerra». Meglio «aiutare il mio prossimo come Dio ci ha insegnato». Parole che fanno venire i brividi pensando all’accaduto.

Questo 30° anniversario, dice Augusto, «ci ricorda momenti terribili, ma il Signore ci ha dato la serenità. È stato un percorso duro». I genitori di Sergio raccontano la disperazione e la rabbia dei primi mesi. Verso gli assassini, ma anche verso Dio. «Ma come, dicevamo, nostro figlio è andato in Bosnia nel tuo nome e tu lo sacrifichi così? Provavamo una specie di ribellione interiore contro il Signore». Gli amici, l’aiuto di un sacerdote, «e quello di Sergio - afferma Franca - ci hanno fatto capire che era la direzione sbagliata». L’odio «ci avrebbe distrutto, il perdono ci ha salvato». Tutti hanno una croce, dice Augusto, «rifiutarla significa soffrire: solo abbracciandola possiamo trovare consolazione».

L’inaugurazione della stele in ricordo delle vittime a Gornji Vakuf con i sindaci bresciani -  © www.giornaledibrescia.it
L’inaugurazione della stele in ricordo delle vittime a Gornji Vakuf con i sindaci bresciani - © www.giornaledibrescia.it

La casa di via Civine è piena di ritratti di Sergio. Da un cassetto mamma Franca, gli occhi lucidi, toglie un sacchetto che svuota sul tavolo. Come reliquie, mette in fila il rosario, l’orologio, il fazzoletto e il portafogli che Sergio aveva con sé. «In ogni momento sentiamo la presenza di nostro figlio. È qui, vicino a noi», dicono i genitori. In questi giorni Augusto partecipa a numerose iniziative in ricordo di Sergio, Guido e Fabio.

Oggi  lui e Franca sono a Gornji Vakuf, come già molte altre volte. Alla cerimonia di commemorazione presenzia l’ambasciatore italiano, Marco Di Ruzza. «Parteciperà anche l’imam», afferma Augusto. «Un bel gesto nel nome di quella pace che Sergio portava nel cuore».

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