Ginnaste e denunce di maltrattamenti: testimoni offrono riscontri alle accuse

Delle presunte violenze fisiche e psicologiche subite in palestra hanno parlato diverse persone
L’indagine bresciana per maltrattamenti in ambito sportivo è la prima in Italia
L’indagine bresciana per maltrattamenti in ambito sportivo è la prima in Italia
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Qualcosa di più e di diverso del rigore finalizzato al conseguimento del risultato sportivo. Qualcosa di più e di diverso dalla disciplina alla quale qualsiasi atleta deve piegarsi se intende eccellere. Avrebbero parlato di soprusi veri e propri, di violenze sia fisiche che psicologiche le persone informate sui fatti chiamate in procura a testimoniare nell’ambito dell’inchiesta sui presunti maltrattamenti che avrebbero avuto come epicentro una palestra di ginnastica ritmica di Calcinato.

Testimonianze

Sono state diverse le persone sentite in queste settimane dal pubblico ministero Alessio Bernardi, titolare del fascicolo. E tutte avrebbero sostanzialmente fornito conferme alla versione messa nero su bianco dalla mamma di due promettenti ginnaste che ha dato origine all’inchiesta che dall’estate scorsa agli ultimi giorni si è allargata a macchia d’olio. Oltre ai resoconti di diverse ragazzine che frequentavano la palestra e che hanno allungato ad una decina il numero delle denunce, riscontri anche dai genitori di alcune di loro.

Secondo la versione delle prime e dei secondi non si trattava solo di una vera e propria ossessione per la bilancia e per la forma fisica, ma di un vero e proprio incubo ad occhi aperti, fatto di insulti, minacce, privazioni. Soprusi subiti per diverso tempo e rimasti per diverso tempo sotto una coltre di silenzio a causa della paura di eventuali ritorsioni. Sarebbe stata la paura di perdere il treno buono, di non disputare i tornei più ambiti, di non calcare le pedane più prestigiose - stando alle risposte finite a verbale in queste settimane - a stendere uno spesso velo di omertà su quanto sarebbe accaduto in palestra.

Carriere finite

Che qualcosa di pesante possa essere successo gli inquirenti lo desumerebbero anche dalla circostanza che la stragrande maggioranze delle atlete che hanno sporto denuncia - si tratta di ragazze tra i 13 e i 15 anni - hanno appeso al chiodo clavetta, nastro e palla. Non hanno lasciato solo la palestra, ma addirittura la pratica dello sport. Solo una di loro ha ripreso ad allenarsi. Lo ha fatto in un altro ambiente e solo dopo aver intrapreso un percorso con uno psicologo. Raccolte le testimonianze, le informative della Squadra Mobile della Questura l’indagine si sta avviando alla sua conclusione. Si tratta di uno dei primissimi fascicoli per maltrattamenti in ambito sportivo: la materia, sino ad ora, è stata del tutto inesplorata nelle aule di tribunale e non vi è ancora giurisprudenza. L’inquadramento giuridico dei fatti, ancora tutti da dimostrare, è particolarmente complesso.

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