Farmaci letali, il dottor Mosca assolto in appello perché «manca una prova certa»

La Corte d'assise d'appello sulla decisione per il medico accusato di omicidio volontario di pazienti Covid: «Prova scientifica non è dirimente»
Assoluzione dott.Mosca, le motivazioni
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«Non si può dire con certezza che l’imputato sia stata vittima di una vera e propria manovra calunniosa dagli infermieri che lo avevano denunciato, ma allo stesso tempo la corte ritiene che l’assoluzione di primo grado debba essere confermata». È l’estrema sintesi delle 110 pagine di motivazioni della sentenza di assoluzione della corte d’assise d’appello di Brescia nei confronti di Carlo Mosca, il medico già primario al pronto soccorso dell’ospedale di Montichiari che era stato accusato di omicidio volontario di due pazienti Covid, uccisi secondo l’accusa nel marzo 2020 somministrando loro farmaci incompatibili con la vita.

Mosca rimase 18 mesi ai domiciliari e in primo grado il pm chiese la condanna a 24 anni di carcere. Fu assolto, così come in appello. Anche se i giudici di secondo grado hanno usato una formulato dubitativa.

Non ci sono prove che i due infermieri che avevano accusato il medico abbiano effettivamente costruito un complotto ai suoi danni – come sostenuto dalla sentenza di primo grado -, anche se, viene scritto, «non può non sottolinearsi come il super attivismo degli accusatori abbia quantomeno prodotto danni irreparabili all’accertamento della verità».

Ma la Corte d’assise d’appello di Brescia si è soffermata anche sull’effettiva presenza di farmaci incompatibili con la vita – Propofol e Succinilcolina – nei copri delle vittime. E sul punto scrive: «La valutazione della prova scientifica non può essere considerata dirimente. Perché l’incertezza circa la persona che ha inoculato il farmaco impedirebbe comunque di pervenire all’affermazione di responsabilità di Mosca».

E sulla ricostruzione accusatoria, tra orari e presenze in sala emergenza nelle sere in cui i due pazienti sono deceduti all’ospedale di Montichiari nella fase più acuta del Covid a marzo 2020, i giudici ritengono che «a fronte di un’accusa di tale gravità come quella di omicidio volontario, non è certo consentito basarsi su considerazioni di natura probabilistica svincolate da dati concreti dotati di assoluta certezza, tanto più per ribaltare la pronuncia assolutoria di primo grado».

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