Farmaci letali, il dottor Mosca: «I 18 mesi ai domiciliari l'aspetto più buio»

Parla il medico fresco di assoluzione per una vicenda iniziata con l’arresto nel 2021 quando era primario del Pronto soccorso di Montichiari
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13.10.2023 - FARMACI LETALI, MOSCA ASSOLTO IN APPELLO
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La voce è più squillante rispetto all’immediato post udienza di venerdì. Quando l’emozione lo ha tradito. «Ho dormito bene. Sicuramente con un pensiero in meno» ammette il medico Carlo Mosca, fresco di seconda assoluzione per una vicenda iniziata con l’arresto a gennaio 2021 quando era primario del Pronto soccorso di Montichiari.

Dopo i giudici di primo grado anche quelli di appello lo hanno scagionato dall’accusa di aver ucciso due pazienti attraverso la somministrazione di farmaci incompatibili con la vita. 

Cosa le è pesato di più? I 18 mesi di domiciliari, la richiesta di 24 anni avanzata in primo grado dal pm nonostante il processo avesse dimostrato altro e il ricorso in appello avanzata dalla Procura? 

«Sicuramente da un punto di vista umano e professionale i 18 mesi in arresto mi hanno fatto malissimo. È l’aspetto più buio. L’ho trovata una grandissima ingiustizia. I domiciliari sono scattati un anno dopo la denuncia e per il del rischio di reiterazione del reato. Se il sospetto era quello, mi viene da dire che nei mesi che sono passati tra la denuncia e l’arresto, avrei potuto fare fuori tutto l’ospedale».

Proprio venerdì sera, poche ore dopo la sua sentenza di assoluzione, la Rai ha trasmesso uno speciale sulla vicenda di Enzo Tortora. Lei si sente vittima della giustizia?

«Mi auguro che la giustizia sia davvero uguale per tutti, ma so che non è così. Chi non può permettersi avvocati e periti di un certo livello non so come possa affrontare un processo simile al mio. Sicuramente potevano evitarmi l’incubo che ho vissuto. Davanti al gip, nel primo interrogatorio, mi ero presentato con un cestino di rifiuti dei taglienti da ospedale e dimostrai che contro di me era stata costruita una prova falsa. Quella della fotografia dei farmaci, che era impossibile da scattare. Tanto è vero che subito dopo uno dei miei due accusatori, l’infermiere Bonettini, venne chiamato in caserma per avere spiegazioni». 

Eppure l’accusa non si è mai fermata... 

«Non so perché la pm Federica Ceschi abbia voluto andare avanti quando fin da subito aveva elementi per capire determinate cose, a partire dal fatto che le prove contro di me erano state costruite. Se io sbaglio e causo un dolo al paziente come medico pago. Se faccio una sutura fatta male, il paziente mi denuncia. Contro i magistrati che sbagliano non si può controbattere, non si può fare nulla».

I suoi accusatori, due infermieri all’epoca a Montichiari, sono indagati per calunnia. Lei è un medico di Pronto soccorso e non uno psichiatra, ma si è chiesto come è stato possibile arrivare a questo piano contro di lei?

«La mia idea è che la vicenda gli sia scappata di mano. Se davvero credevano che io usassi farmaci incompatibili con la vita sui pazienti potevano rivolgersi alle forze dell’ordine e chiedere un controllo serio. E invece si sono messi a cercare prove. Quando hanno capito che non c’erano, le hanno costruite. E pure male. Perché è inimmaginabile pensare che un cestino dei rifiuti dei taglienti di un pronto soccorso alle sette del mattino contenga solo tre fiale, senza siringhe, senza cappucci, senza coperchio. E poi la scritta nera sulle fiale era a pennarello a punta quadra che solo l’infermiere Bonettini aveva in tasca dato che al Pronto soccorso c’erano pennarelli solo a punta tonda. É stato come lasciare una firma sul quella prova costruita».

Ora lei è al 118. Come vede il suo futuro professionale?

«Fino a quando non sarà finito tutto definitivamente resto al 118. Mi piacerebbe però riprendere in mano un Pronto soccorso e gestirlo in un’ottica nuova. Vorrei studiare la popolazione tramite dati Istat, capire le malattie prevalenti di quell’area e le esigenze della popolazione. Immagino un pronto soccorso dove non ci sono barelle, ma letti, servizi igienici adeguati e personale in grado di rispondere alle esigenze del paziente. Lo stavo facendo a Montichiari prima che questa vicenda mi piombasse addosso. Se avrò le forze mi piacerebbe riprendere da dove avevo lasciato».

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