Dentro la Caffaro, dove l'impianto per ripulire l'acqua è ostaggio delle norme

Viaggio nella fabbrica che non produce più e viene smantellata. L'azienda intanto procede con tutti i licenziamenti
  • I tre silos dell'impianto nuovo e i capannoni in dismissione di Caffaro Brescia e Chimica
    I tre silos dell'impianto nuovo e i capannoni in dismissione di Caffaro Brescia e Chimica
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Dall’ingresso ci si rende conto solo se lo sguardo scivola di sbieco verso sinistra, dove le ciclopiche cisternone, quelle più panciute, hanno lasciato vuota la loro postazione di vedetta, situata proprio a ridosso del muro di confine che separa la fabbrica dal vociare della vita di quartiere. Più si prosegue nel cammino e più si assiste in presa diretta allo sbriciolamento di una storia che è entrata nel dna di Brescia, trascinando con sé un climax di contraddizioni e di problemi con i quali la città si trova ancora a dover fare i conti dopo oltre un ventennio.

Il viaggio nella Caffaro che fu parte dalla guardiania di via Nullo, presidiata per ora dai pochi lavoratori rimasti in servizio sotto il logo di Caffaro Brescia srl: l’azienda, subentrata nel 2011 e oggi in liquidazione, ha già proceduto ai primi due licenziamenti. E ora che nel sito non produce più nulla, è sì convinta a portare a termine i cantieri concordati (adeguare la diga anti-veleni e procedere con lo smantellamento delle aree «occupate» dall’ormai pensionata attività), ma è altrettanto convinta che gestire la barriera idraulica non spetti più alla società.

Ecco perché, di qui alla fine del mese, le lettere di licenziamento saranno recapitate a tutti i dipendenti rimasti al lavoro. Con la speranza - sottolineano dall’azienda - che «chi subentrerà nella gestione del sito, tenga conto che sono le uniche persone a conoscere impianti, pericoli e spazi di questa fabbrica». 

Tra le macerie e il nuovo impianto

Le macerie accumulate tra gli impianti in via di dismissione - Foto © www.giornaledibrescia.it
Le macerie accumulate tra gli impianti in via di dismissione - Foto © www.giornaledibrescia.it

Passeggiando all’interno della vecchia cittadella industriale sembra di stare in un sobborgo martoriato dalla guerra: ai piedi degli scheletri dei capannoni ci sono cumuli di macerie, rottami, assi, le cisterne in cui sono catalogate le diverse sostanze da smaltire riposano ordinatamente in un capannone ad hoc; poco più avanti le reti rosse delimitano gli antri sotto sequestro: le zone della vecchia Caffaro Chimica - la società originaria responsabile dell'inquinamento da Pcb - dove è vietato entrare sono più visibili dopo il pensionamento dei silos, alcuni ancora sdraiati a terra in attesa di essere smaltiti.

Un'area sotto sequestro della vecchia Caffaro Chimica - Foto © www.giornaledibrescia.it
Un'area sotto sequestro della vecchia Caffaro Chimica - Foto © www.giornaledibrescia.it

Lo spazio è in sicurezza, ma è comunque un’area in cui è in corso uno smantellamento. Per chi, come i lavoratori, lì dentro ci ha trascorso una vita è un colpo al cuore: dei macchinari che caratterizzavano il reparto cloro-soda, ad esempio, resta solo la sagoma intarsiata a terra e con la caduta degli impianti, erosi delle loro funzioni, lo sguardo percepisce per la prima volta quanto esteso sia lo spazio che occupa il sito. 

Il magazzino con le sostanze catalogate da Caffaro Brescia - Foto © www.giornaledibrescia.it
Il magazzino con le sostanze catalogate da Caffaro Brescia - Foto © www.giornaledibrescia.it

A cambiare sono anche i suoni prodotti dalla cittadella: prima quello stridulo degli elevatori dei camion, delle «sveglie» delle macchine, delle risate e delle conversazioni dei lavoratori. Adesso quelli del crollo e delle demolizioni, incapsulati subito dopo in parentesi di silenzi lunghissimi. La dicotomia tra vecchio e nuovo, tra storia e futuro, si impone anche visivamente: da una parte gli edifici diroccati, dall’altra i colori sgargianti degli impianti appena installati.

Come quello che serve per «ripulire» le acque, con tre silos grigi incastrati sotto una ragnatela di tubi gialli e verdi. Un’opera che esiste, occupa uno spazio e ha attorno a sé operai che se ne prendono cura. Ma che, di fatto, è ancora in stand-by, perché per farla funzionare come dovrebbe manca l’elemento chiave: le istruzioni. Che, in questo caso, si chiamano limiti di legge (o valori indicativi stabiliti dagli enti competenti) da rispettare. Un dato che, ad oggi, ancora non esiste.

L'impianto per ripulire le acque di falda prelevate dalla barriera idraulica - Foto © www.giornaledibrescia.it
L'impianto per ripulire le acque di falda prelevate dalla barriera idraulica - Foto © www.giornaledibrescia.it

Spiegano dall’azienda che l’infrastruttura è costata intorno ai 5 milioni di euro, ma che «mancano ancora dei dati necessari per il giusto dimensionamento, ovvero i famosi limiti allo scarico. Per i clorati noi siamo arrivati ad abbattimenti attorno al 70-80%: abbiamo commissionato uno studio all’Università di Roma e lo abbiamo sottoposto agli enti. Ad oggi stiamo ancora attendendo la risposta dall’Istituto superiore di sanità e dal Ministero». 

Uno stand-by, questo, che inevitabilmente sta rallentando i lavori e che farà sconfinare il cantiere nel 2024.

La barriera e il dialogo con A2a

C'è poi la questione della barriera idraulica, il sistema di pozzi che emunge l'acqua evitando che si contamini con gli inquinanti rilasciati dalla fabbrica. Per bandire una gara che ne assegni la gestione a un altro soggetto una volta che Caffaro Brescia srl avrà lasciato il sito industriale è necessario infatti che i lavori al sistema siano completati. «Ma dagli elementi raccolti dalla società ci vorranno ancora 12-18 mesi» dice il commissario del Sin Brescia Caffaro Mario Nova.

Al momento quindi si sta cercando di capire come procedere quando la società deciderà di andarsene definitivamente. «È in corso un’interlocuzione tra Caffaro Brescia e il ministero dell’Ambiente per capire le intenzioni dell’azienda - spiega Nova -, ma non ci sono aggiornamenti». Si è però individuato un soggetto che potrebbe gestire temporaneamente la barriera: «Abbiamo un dialogo aperto con A2a - conferma il commissario, ribadendo quanto anticipato al tavolo tecnico regionale di fine aprile in cui si era parlato del coinvolgimento di una municipalizzata -. Stiamo approfondendo la possibilità che municipalizzata subentri a Caffaro Brescia nella gestione dei pozzi».

Le risorse saranno garantite dal commissario stesso in attesa che vengano completati i passaggi formali che sbloccheranno i fondi promessi dal ministero (su questi ultimi le tempistiche sono ancora incerte): «Da Roma si è precisato che il commissario, cioè il sottoscritto, può anticipare parte delle risorse a disposizione per il progetto di bonifica per tenere in funzione la barriera idraulica» prosegue Nova. Nonostante il leggero calo del costo dell’energia, per mantenere attivi di pozzi della barriera servono poco meno di 250mila euro al mese.

Chi lavora dentro Caffaro

La segnaletica per orientarsi dentro il sito industriale di Caffaro - Foto © www.giornaledibrescia.it
La segnaletica per orientarsi dentro il sito industriale di Caffaro - Foto © www.giornaledibrescia.it

Tra i capannoni sventrati e in via di demolizione i lavoratori di Caffaro Brescia srl sembrano dei superstiti. Dopo i primi due licenziamenti scattati a inizio maggio sono rimasti in sette, compreso il direttore di stabilimento Alessandro Francesconi che è tra gli indagati che il 13 giugno compariranno davanti al giudice per l’udienza preliminare nell’ambito della nuova inchiesta per disastro ambientale aperta con il sequestro del 9 febbraio 2021.

I professionisti di Caffaro Brescia sono tecnici ed elettrochimici e sono l’ultima rappresentanza dei 52 lavoratori assorbiti nel 2011 dalla Chimica Fedeli, la società pisana subentrata nello stabilimento tra via Milano e via Nullo al posto della vecchia Caffaro Chimica dopo il fallimento di Snia. Da quasi tre anni non producono nulla: il loro unico compito è assicurarsi che la barriera idraulica continui a funzionare nel modo corretto. 

Una bici appoggiata a un muro dentro Caffaro - Foto © www.giornaledibrescia.it
Una bici appoggiata a un muro dentro Caffaro - Foto © www.giornaledibrescia.it

All’interno del sito industriale qualcuno si sposta in bicicletta per fare prima. Sui muri degli edifici cartelli blu piuttosto recenti indicano il senso unico di marcia e forniscono i riferimenti per orientarsi: uffici, magazzino, visitatori. Con i pochi in circolazione ci si saluta con un cenno cordiale lungo il tragitto che dall’ingresso su via Nullo porta all’unica fonte di suono che evoca un’attività in corso - i pozzi della barriera idraulica. Chi ne cura il collaudo il giorno della nostra visita sa perfettamente che potrebbe essere il prossimo a ricevere la lettera di licenziamento. D’altronde, in vista della scadenza del contratto di affitto a inizio marzo, la società aveva già comunicato l’intenzione di licenziare tutti a fronte di una «difficoltà a sostenere tutti gli impegni» e degli «oneri relativi alla attività ordinaria (gestione barriera, presidio e sicurezza del sito), oltre alle altre attività in essere». Le prime comunicazioni ufficiali sono arrivate il 2 maggio a due lavoratori, preavvisati qualche giorno prima. Da lì la decisione dei sindacati di indire uno sciopero il giorno dopo, che ha visto colleghi ed ex colleghi manifestare pacificamente fuori dall’ingresso di via Nullo fino al primo pomeriggio, finché cioè la Prefettura di Brescia si è detta disponibile a un incontro. 

I lavoratori di Caffaro Brescia in sciopero fuori dal cancello di via Nullo il 3 maggio - Foto © www.giornaledibrescia.it
I lavoratori di Caffaro Brescia in sciopero fuori dal cancello di via Nullo il 3 maggio - Foto © www.giornaledibrescia.it

Il presidio del sito - e della barriera idraulica - è comunque sempre stato garantito. Avevano spiegato il giorno dello sciopero: «Non vogliamo essere chiamati supereroi, cerchiamo di fare il nostro dovere con responsabilità per la città, come abbiamo sempre fatto». La speranza collettiva (dei lavoratori, dei vertici di Caffaro Brescia e del commissario straordinario del Sin Brescia Caffaro Mario Nova) è che chiunque subentri alla società nella gestione della barriera possa assumere gli ultimi lavoratori in via di licenziamento, perché sono gli unici a conoscere bene il sito industriale. «Qui ci sono delle attività e le persone che sono qui sono in grado di svolgerle - spiegano dall’azienda -. Poi è evidente che se dovesse arrivare qualcun altro non gli si può imporre qualcosa. Ma crediamo che chiunque venga da fuori si renda conto che sarebbe sciocco non prendere le persone che sono qui dentro. Perché c’è una "professionalità Caffaro", che si chiama conoscenza del sito». 

Dall’incontro in Prefettura non sono uscite certezze ma solo la promessa di un impegno personale della prefetta Maria Rosaria Laganà a un dialogo con il commissario del Sin. A Nova Caffaro Brescia ha assicurato di voler proseguire nella gestione della barriera fino all’avvenuto passaggio di consegne a un nuovo soggetto, «evitando così il rischio di danni ambientali e mantenendo la protezione in atto sulla falda idrica». La speranza è che i dipendenti vengano riassorbiti da chi subentrerà alla società «perché il loro know how è prezioso», riconosce Nova, ma ad oggi «nessuno si è ancora sbilanciato». Il confronto con tutte le parti interessate, dice il commissario del Sin, è però costante. Caffaro Brescia srl ha promesso un «congruo preavviso sui licenziamenti, in modo tale da permettere un passaggio di consegne adeguato». 

Il bando per la bonifica a giugno

Nella cittadella industriale enormi botti verdi erose dal tempo e dalla ruggine si stagliano tra i vecchi edifici di inizio Novecento. Sui muretti sgretolati si leggono ancora le vecchie etichette: «acido clorito», «tenere sempre chiuso», «pericolo». Quando inizierà la bonifica tutta quest'area verrà smantellata. 

Sì, ma quando?

Pare che i tempi promessi sei mesi fa saranno rispettati perché il commissario del Sin Brescia Caffaro è (quasi) pronto a bandire una nuova gara: «Stiamo completando un nuovo progetto per la prima fase della bonifica dell’area dello stabilimento - afferma Nova -. Abbiamo inserito una serie di aggiornamenti rispetto alla gara precedente alla luce dei costi delle opere e dell’evoluzione della situazione all’interno del sito. Pensiamo di pubblicare il nuovo bando a giugno».

Era inizio dicembre scorso quando la gara per la bonifica della Caffaro era andata a vuoto perché l’unica offerta depositata da Greenthesis, Htr Bonifiche e Nico Srl era stata rigettata per inammissibilità dopo un parere dell’Avvocatura di Stato. Le tre aziende avevano infatti chiesto una revisione dei costi in linea con i prezzi del mercato, cresciuti parecchio nel 2022 per quanto riguarda l’energia e i materiali. «Una pratica esclusa dal disciplinare – aveva spiegato allora il commissario – e dalle norme generali sugli appalti pubblici».

L’obiettivo è avviare i primi cantieri al più presto, per i quali si prevede un costo di circa 50 milioni di euro («ma si stanno facendo ancora gli ultimi calcoli – precisa Nova – e si sta valutando se spostare alcuni lavori a una successiva fase di bonifica»). Per sopperire all’aumento dei prezzi il commissario potrà comunque attingere da un fondo previsto dalla legge di Bilancio grazie a un emendamento promosso dai parlamentari bresciani. Dieci miliardi in totale, erogati a tranche da quest'anno fino al 2027, per evitare che progetti di enti pubblici già approvati vengano affossati. Nel caso di Caffaro, ancora una volta.

La vicenda giudiziaria

I capannoni dismessi dell'azienda - Foto © www.giornaledibrescia.it
I capannoni dismessi dell'azienda - Foto © www.giornaledibrescia.it

Su via Nullo pesa infine tutta la vicenda giudiziaria del caso Caffaro, che è suddivisa oggi in due filoni distinti. Il primo riguarda LivaNova, la multinazionale nata nel 2015 dalla fusione tra la società biomedicale Sorin (scorporata nel 2004 da Snia, il gruppo della vecchia Caffaro Chimica, l'azienda ritenuta la prima responsabile del disastro ambientale) e Cyberonics. A marzo dell’anno scorso LivaNova è stata condannata dalla Corte d’Appello di Milano a versare quasi 250 milioni di euro (249.985.948,76) a titolo di «riparazione del danno ambientale causato dalle attività delle società riconducibili al gruppo Snia nel sito di interesse nazionale Brescia-Caffaro». LivaNova si è appellata in Cassazione, che a sua volta ha sottoposto il caso alla Corte di Giustizia dell’Unione europea per risolvere il tema della responsabilità del danno. Ad oggi, la Corte con sede a Lussemburgo non si è ancora pronunciata.

Il secondo filone giudiziario è il procedimento penale per disastro ambientale aperto dopo il sequestro a Caffaro Brescia il 9 febbraio 2021. Inizialmente l’udienza preliminare era convocata per il 28 marzo, poi è stata rimandata al 14 novembre e nuovamente riaggiornata al prossimo 13 giugno. L’udienza preliminare è a carico dell’ex commissario straordinario del Sin Brescia Caffaro Roberto Moreni e di Alessandro Francesconi, Alessandro Quadrelli e Antonio Donato Todisco, rispettivamente direttore dello stabilimento, rappresentante legale e presidente del cda di Caffaro Brescia Srl. Gli ultimi tre dovranno rispondere di disastro ambientale, deposito incontrollato e omessa bonifica di rifiuti industriali pericolosi. 

Tra gli indagati per cui la Procura ha chiesto il processo ci sono poi Vitantonio Balacco (ex responsabile di settore di Caffaro Brescia), Marco Cappelletto (ex commissario liquidatore di Snia) e Alfiero Marinelli (ex manager della Caffaro Chimica). Oltre a loro ci saranno anche i manager della Costruzioni Strutturali Acciaio Srl di Rovigo - l'altra società che sta lavorando all'interno dello stabilimento con l'autorizzazione dell’ex curatore fallimentare Cappelletto -  Alessandro Gasparini e Pietro Avanzi, accusati di aver attestato il falso sulla qualità del prodotto dello smantellamento degli impianti. 

Il piazzale d'ingresso in via Nullo - Foto © www.giornaledibrescia.it
Il piazzale d'ingresso in via Nullo - Foto © www.giornaledibrescia.it

Le incognite che incombono sul sito industriale sono quindi ancora molte. Così come quelle legate all'esterno, dalle aree agricole contaminate ai privati danneggiati.

E che ancora tengono in sospeso il destino di una fabbrica diventata ormai un simbolo, doloroso e complesso, per l'intera città.

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