Covid-19, ecco le strategie per le cure a domicilio

Due società scientifiche rispondono a dieci domande sulla gestione della malattia
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CURARE IL COVID A CASA
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Decidere i ricoveri dei pazienti con sintomi da Covid-19 anche sulla base dell’osservazione diretta e non solo attraverso criteri prognostici, ovvero solo in base alla previsione sul decorso e, soprattutto, sull’esito del quadro clinico. Ancora, non utilizzare nelle fasi iniziali dell’infezione farmaci steroidei, utili invece nelle fasi evolutive della malattia; non usare l’idrossiclorochina, sia per i pazienti curati a casa sia per quelli ospedalizzati, perché non ci sono evidenze che possa essere utile. Sì, invece, all’uso degli anticorpi monoclonali nei pazienti non ricoverati ad elevato rischio di progressione della malattia, mentre non è raccomandato l’uso sui pazienti ricoverati.

Sono alcune delle raccomandazioni contenute nelle prime Linee Guida Italiane per la gestione dei pazienti adulti con Covid-19 al di fuori delle terapie intensive, messe a punto dalla Società italiana di Terapia Antinfettiva e dalla Società Italiana di Pneumologia e appena pubblicate sulla rivista «Infectious Diseases and Therapy». Le Linee Guida, basate sull’analisi «rigorosa e metodologica» della letteratura scientifica internazionale, rispondono a 10 domande chiave sulla gestione del Covid-19 che abbracciano tutto il percorso di cura dei pazienti al di fuori delle terapie intensive, dalla scelta sull’invio in ospedale, alle terapie da somministrare a casa o in ospedale fino ai criteri per la dimissione dall’ospedale. Le indicazioni saranno aggiornate dalle due Società scientifiche sulla base delle nuove evidenze che si renderanno disponibili, o per dare indicazioni su un altro importante aspetto che riguarda la gestione del Covid-19, ovvero gli effetti a lungo termine sul fisico e sulla mente delle persone che hanno avuto la malattia.

A casa o in ospedale? Nell’uno o nell’altro caso, quali farmaci somministrare? Sono solo alcune domande che hanno accompagnato i lunghi mesi della pandemia e alla quale hanno cercato di dare risposte sia la comunità scientifica sia gli stessi pazienti. Gli uni e gli altri, almeno nella fase iniziale, spaventati e con le armi spuntate di fronte alla tragica emergenza. Un punto fermo, ma anche molto flessibile, dunque, frutto della revisione sistematica di 279 studi clinici condotta per circa un anno e che solleva le più importanti questioni sulle quali la comunità scientifica - e non solo - si confronta da quando è esplosa la pandemia. Ovvero: quando si deve ricoverare una persona con Covid-19 e quali terapie è meglio somministrare a domicilio e quali in ospedale. Ancora, qual è l’effettiva efficacia di alcune terapie e fino a quando continuare nelle cure domiciliari. Quali terapie.

Una delle domande-chiave a cui rispondono le linee-guida, stilate soprattutto da infettivologi e pneumologi delle due Società scientifiche, riguarda le terapie domiciliari. Sconsigliano l’uso di idrossiclorochina, non suffragato da evidenze, e di corticosteroidi, in quanto ostacolo alla risposta infiammatoria che contrasta la replicazione virale nella fase iniziale della malattia. Non è raccomandato l’uso di antivirali, mentre gli antibiotici vanno utilizzati come trattamento empirico solo in caso di sospetta co-infezione o superinfezione batterica. Il documento convalida, invece, l’uso degli anticorpi monoclonali neutralizzanti nei pazienti non ricoverati con malattia lieve o moderata a rischio di progressione entro 10 giorni dall’insorgenza dei sintomi (mentre lo studio non ritiene utile la somministrazione di anticorpi monoclonali nei pazienti già ricoverati).

Vietato il «fai da te». Su tutto, prevale una indicazione valida sia in fase pre-pandemica sia, a maggior ragione, in tempo di pandemia: i «fai da te» sono fortemente sconsigliati. È il medico di medicina generale che deve prendere queste decisioni, giudicando di volta in volta quale sia il farmaco più adatto in rapporto ai sintomi e alle condizioni cliniche del suo paziente.

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