Commercio, turismo e servizi: il Covid brucia 2,5 miliardi

Due miliardi e 100mila euro di valore aggiunto (-9% sul 2019) persi nell’arco del 2020, cui si aggiungono altri 430 milioni andati in fumo per effetto delle chiusure imposte a gennaio, marzo ed aprile 2021. A tanto ammonta il costo della pandemia alle attività del commercio, del turismo e dei servizi della provincia di Brescia.
Numeri da far tremare i polsi, emersi nell’Indagine sull’andamento economico delle imprese bresciane del commercio, del turismo e dei servizi commissionata da Confcommercio Brescia a Format Research a fine febbraio ed oggi, con l’ulteriore tendenza al ribasso del mese di marzo, chiara spia dell’enorme sofferenza che sta investendo le circa 61mila imprese del terziario provinciale, pari al 64,7% dell’intero tessuto imprenditoriale extra agricolo del territorio. Un vero e proprio «bagno di sangue», confermato anche dal fenomeno del congelamento delle cessazioni di impresa e dal calo delle nuove imprese nate nel terziario (-15%): scorrendo i numeri, sono oltre 1.100 le realtà del terziario provinciale che hanno chiuso i battenti alla fine del 2020, mentre sarebbero più di 8.600 le «zombie» che potrebbero chiudere senza più riaprire a fine 2021.
Ricavi e consumi. Inutile dire che lo studio riporta anche un pesante peggioramento dell’indice dei ricavi: in prospettiva al giugno 2021 siamo a 28 (contro il 26 nazionale) su una scala da 0 a 100, dato tanto più significativo se si pensa che era a 48 a gennaio 2020. Anche i consumi restano al palo: se nel complesso, nel 2020, sono andati in fumo circa 16 miliardi di euro di consumi nel nostro Paese, in Lombardia il calo a fine anno è stato dell’11%, con punte anche del 70% negli alberghi e nella ristorazione, certo il comparto più flagellato in assoluto.
Occupazione e credito. Non va molto meglio neppure sul fronte dell’occupazione. Nonostante gli ammortizzatori sociali ed il blocco dei licenziamenti, l’indicatore prospettico (a giugno 2021) dell’occupazione nel terziario bresciano è pari a 23 punti su una scala da 0 a 100. È il dato più basso mai registrato prima, e non stupisce quindi che sia stato registrato anche un leggero aumento della percentuale degli imprenditori che prevedono di interrompere i rapporti di lavoro del personale assunto a tempo indeterminato al termine del blocco dei licenziamenti. Ancora, le imprese hanno chiuso il 2020 con una pesante riduzione anche della propria capacità di fare fronte al fabbisogno finanziario (l’indicatore è pari a 15,6, la previsione è pari a 21, ma a gennaio 2020 era a 58), mentre oltre il 70% ha molte difficoltà a rispettare scadenze fiscali e pagamenti ed il 38,8% ha chiesto, negli ultimi 3 mesi del 2020, un finanziamento, un affidamento o la rinegoziazione.Le misure. Infine il giudizio sulle scelte effettuate dal Governo Conte nel 2020: il 74% delle imprese ha definito le misure poco o per nulla efficaci, e circa l’87% ha confermato il giudizio negativo sulle restrizioni del Decreto Natale, con le imprese di ristorazione e trasporti a guidare la classifica dei delusi. Quasi il 56% ha detto che resterà aperta seppure con qualche difficoltà, mentre il 14,3% che diminuirà o chiuderà. In picchiata l'indice di fiducia, a 14,2 punti sulla scala da 0 a 100.
«La resilienza delle piccole imprese bresciane è stata finora encomiabile e la loro forza ha permesso la tenuta del nostro tessuto economico» commenta il presidente di Confcommercio Brescia, Carlo Massoletti, che evidenzia come la volontà sia quella di «non arrendersi, sperando che la campagna vaccinale prosegua spedita». Sulla stessa lunghezza d’onda il leader della Camera di Commercio Roberto Saccone che, in un quadro tanto «fosco», punta sulle «note positive». Ovvero, la «capacità di reazione» delle nostre aziende e la loro «voglia di fare impresa», anche modificando il modello di business.L’indagineUn anno dopo, i dati raccolti ed elaborati da Confcommercio
Riproduzione riservata © Giornale di Brescia
Iscriviti al canale WhatsApp del GdB e resta aggiornato
