Civile, Lombardo: «Una rete di accoglienza per chi aspetta»

Massimo Lombardo, direttore degli Spedali Civili, racconta le difficoltà e le nuove idee, in attesa di una nuova struttura per il Pronto soccorso
Massimo Lombardo, direttore generale dell'ospedale Civile da giugno 2020 - Foto © www.giornaledibrescia.it
Massimo Lombardo, direttore generale dell'ospedale Civile da giugno 2020 - Foto © www.giornaledibrescia.it
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Ospedale Civile di Brescia: 6.800 dipendenti, oltre 1.500 posti letto, 60 mila accesi ogni anno nel solo pronto soccorso: una città nella città.

Costretta a grandi trasformazioni perché le esigenze mutano, si moltiplicano e si intrecciano. Ed è così che il servizio offerto fatica a soddisfare le aspettative

Tra le criticità spicca il pronto soccorso: non mancano segnalazioni di lunghe attese, spesso in solitudine.... Direttore Massimo Lombardo, come se lo spiega?

L’ospedale, per la sua stessa natura, è chiamato a rispondere alle esigenze di cittadini che vivono momenti di fragilità e criticità. È un soggetto «vivo» e in continuo mutamento, come la scienza e la stessa società civile. Non deve stupire che l’alert arrivi proprio dal pronto soccorso, poiché affronta per primo le criticità più urgenti ed è il primo che risente dei mutamenti del contesto in cui opera. Serve allineare di pari passo l’organizzazione, la logistica e anche le strutture. Tutto questo era vero prima del Covid. Con la pandemia è ancora più evidente.

In che senso?

Tanti fattori, non ultima la necessità di percorsi dedicati per i pazienti Covid. Va comunque precisato che i disagi segnalati anche dai vostri lettori fanno riferimento a casi «lievi», non alle emergenze verso le quali doverosamente si concentrano le risorse. Il fattore tempo, in questi casi, fa la differenza. Del resto le richieste di prestazioni al pronto soccorso sono spesso motivate dalla difficoltà a ottenere risposte da altre realtà sanitarie esterne all’ospedale. Nelle nostre sale d’attesa arrivano cittadini che richiedono prestazioni differibili. Prendiamo in carico tutti, sia chiaro, ma dobbiamo agire per priorità a seconda dell’urgenza. Confidiamo che lo sviluppo della medicina territoriale con l’introduzione delle Case di Comunità consentirà ai cittadini di accedere a strutture capaci di soddisfare i loro bisogni attenuando la pressione sull’ospedale e sul pronto soccorso.

Dunque fino a quando non diverrà operativa la rete territoriale dobbiamo arrenderci alle attese di 8-10 ore?

Non ho detto questo. Anzi. Dopo anni in cui è stato difficile trovare professionisti che volessero lavorare in un pronto soccorso, stiamo assistendo ad una inversione di tendenza: medici e infermieri vogliono impegnarsi nella medicina di emergenza e urgenza, lavorando nelle strutture pubbliche. La partecipazione ai concorsi indetti di recente dalla nostra Asst lo dimostra. Se aumentano i numeri, diminuiscono i tempi.

I lettori segnalano la sostanziale solitudine dei pazienti in attesa. E gli accompagnatori rimasti fuori, causa restrizioni Covid, a loro volta si sentono esclusi.

Sappiamo bene che al pronto soccorso accedono persone, non numeri, non codici, non patologie. Persone che provano comunque ansia, paura. Pure questo, al di là del quadro clinico, non va trascurato. Proprio in questi giorni stiamo ragionando su una rete di accoglienza non sanitaria, ma comunque importante, attivando un tavolo di progettazione con la Croce Rossa italiana.

Volontari in servizio al pronto soccorso?

Non è una novità: ad oggi i pazienti in attesa sono affiancati dai volontari della Associazione Agape. Un bicchiere d’acqua, una parola di conforto... È un servizio importante, deve essere potenziato. Abbiamo pensato di coinvolgere le crocerossine. Va pure garantito lo scambio di informazioni tra i pazienti non autonomi nelle comunicazioni e i parenti che magari restano fuori in attesa e in apprensione. L’obiettivo è quello di dare risposta alle esigenze non strettamente sanitarie ma altrettanto importanti.

Direttore, lei ha fatto anche riferimento a strutture da adeguare...

Inevitabile: il pronto soccorso degli Spedali Civili è uno spazio progettato negli anni ’60 ed è ormai inadeguato. Nell’ospedale del futuro che stiamo progettando e che verrà realizzato nei prossimi anni, il pronto soccorso sarà in una palazzina autonoma, disegnata su misura. Per arrivare a questa soluzione, però, occorre tempo. Mentre le necessità dei cittadini sono qui, ora. Per questo abbiamo previsto interventi «tampone» che inizieranno quest’estate: amplieremo la zona di attesa esistente realizzando una nuova area per i pazienti con minor criticità; apriremo una zona con shock room dedicata ai pazienti positivi al Covid e allestiremo una nuova Osservazione Breve Intensiva, anche questa più grande dell’attuale. Tutto questo continuando ovviamente a garantire la gestione di emergenze e urgenze.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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