Chi era Pierluigi Concutelli, che strangolò Buzzi e quel che sapeva su piazza Loggia

È morto nella sua casa ad Ostia, nella zona dell’Idroscalo, non lontano da dove il 2 novembre di 48 anni fa fu ucciso Pier Paolo Pasolini. Avrebbe compiuto 79 anni il prossimo 3 giugno e tagliato l’ennesimo traguardo della vita in detenzione domiciliare, ristretto così come aveva vissuto due terzi della sua esistenza.
La sua libertà, Pierluigi Concutelli, se l’era giocata con le sue mani nel pieno degli anni di piombo. Uccidendo nel 1976 il magistrato Vittorio Occorsio e a seguire, tra il 1981 e il 1982, due neofascisti sul punto di tradire: il bresciano Ermanno Buzzi e Carmine Palladino. Tre nemici, tre omicidi, tre ergastoli.
L’omicidio Occorsio
Nato a Roma alla vigilia dell’ingresso degli Alleati guidati dal generale Clark nella Città Eterna, Concutelli si trasferisce a Palermo poco più che maggiorenne per frequentare la facoltà di Agraria. Si lega alla sezione palermitana del Fronte Nazionale di Junio Valerio Borghese (quello del golpe non golpe del 1970) e, quaranta giorni prima della strage di piazza Fontana a Milano, finisce in carcere per la prima volta: all’Ucciardone per possesso di armi da guerra.All’inizio degli anni Settanta entra in contatto con Ordine Nuovo, lo stesso movimento del quale Carlo Maria Maggi, medico veneziano condannato all’ergastolo con sentenza passata in giudicato per la strage di piazza della Loggia, era capo indiscusso per il Triveneto. E insieme a Ordine Nuovo, messo fuori dal perimetro costituzionale dalla legge Scelba, nel 1973 passa in clandestinità. Abbraccia la lotta armata nel ’74. Il 10 luglio del 1976, poco dopo le 8 della mattina, trasforma la sua scelta radicale in un viaggio di sola andata. Insieme a Gianfranco Ferro, ex parà tarantino, si presenta in via del Giuba a Roma imbracciando una mitraglietta. Nel suo mirino Vittorio Occorsio. Accanto al cadavere del magistrato i volantini a firma Ordine Nuovo. Trentadue anni dopo, nel suo libro «Io, uomo nero», del magistrato che stava indagando sulle trame nere, Concutelli scrive: «Era il braccio armato della Democrazia Cristiana, l’uomo chiamato per spazzare via i neofascisti».
Fatal Novara

Nell’arco di pochi anni, per l’omicidio del magistrato e per altre condanne, il neofascista romano passa in rassegna tutte le carceri di massima sicurezza: da Volterra a Porto Azzurro, dall’Asinara a Novara. Proprio qui, la mattina del 13 aprile del 1981, insieme a Mario Tuti, uccide Ermanno Buzzi, trafficante di opere d’arte bresciano, informatore di carabinieri e questura, con una doppia S tatuata su una mano e una condanna all’ergastolo in primo grado per l’attentato del 28 maggio del 1974 sulla schiena. A Novara Buzzi ci è arrivato solo due giorni prima. Concutelli e Tuti gli soffocano in gola la sua prima ora d’aria. Non solo. Gli sfondano gli occhi con le dita - come raccontò lo stesso Tuti in aula a Brescia, davanti alla madre di Buzzi - per lanciare un avvertimento a tutti coloro che sono tentati dalla scorciatoia del tradimento.
Un omicidio annunciato
Che gli infami siano da cancellare del resto è scritto nero su bianco su «Quex», foglio autoprodotto dagli estremisti di destra che circola all’epoca nelle carceri. Nella rubrica «Écrasez l’infâme!» del giornalino clandestino in quei mesi compare anche il nome di Ermanno Buzzi che, lasciando Canton Mombello, l’11 aprile di quello stesso anno, conosce già il destino al quale sta andando incontro. «Vi lascio per la fatal Novara» dice il Conte di Blanchery (così come amava farsi chiamare), rivelandosi Cassandra di se stesso.
Nel 2012 l’omicidio di Buzzi assume un significato più chiaro. Assolvendo Carlo Maria Maggi, Maurizio Tramonte, Delfo Zorzi, Francesco Delfino e Giovanni Maifredi dal concorso nella strage di piazza Loggia i giudici della Corte d’assise d’appello di Brescia ipotizzano comunque una matrice veneta dell’attentato che provocò otto vittime e più di cento feriti e, 31 anni dopo la sua morte, assegnano a Buzzi il ruolo di basista. «Anche sotto il profilo logico è chiaro che un avvenimento che aveva per teatro Brescia - spiegò il presidente Platé - doveva avere una persona in grado di indicare luoghi e orari idonei per commettere quella cosa terribile che è stata la strage».
E quella persona per i giudici bresciani e poi per quelli milanesi, che scrissero la sentenza di condanna di Maggi e Tramonte poi diventata definitiva, non poteva che essere Ermanno Buzzi. Un infame - per dirla con l’ordinovista Concutelli - che quindi doveva pagare non perché «semplice spione dei carabinieri», ma perché in piazza Loggia c’era davvero, quindi sapeva e perché, come aveva minacciato di fare alla vigilia del suo processo d’appello, poteva fare nomi e cognomi.
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