Bazoli: «Dopo 10 anni resta viva la memoria del notaio Camadini»

Il professore ricorda il grande amico: «Sempre uniti, dalla Pace alla Fuci all’Istituto Paolo VI. Un legame che ha generato opere»
Il professor Giovanni Bazoli e il notaio Giuseppe Camadini - © www.giornaledibrescia.it
Il professor Giovanni Bazoli e il notaio Giuseppe Camadini - © www.giornaledibrescia.it
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Una lunga, intensa giornata insieme in Valcamonica. Due amici che percorrono strade montane che con il passare delle ore, con i ricordi che si susseguono senza sosta, passo dopo passo diventano i percorsi di due vite straordinarie, due esistenze incastonate da protagoniste nella storia bresciana e italiana.

In quella giornata, che poi il destino volle fosse l’ultima di fraterna condivisione, i due amici di una vita si erano spogliati dei tanti blasoni che il loro impegno quotidiano nei decenni aveva posto sulle loro spalle, erano semplicemente Giuseppe e Giovanni, Beppe e Nanni come si chiamavano reciprocamente fin dalle elementari.

Il notaio Giuseppe Camadini aveva invitato il professor Giovanni Bazoli nella sua casa di Sellero, più che un luogo del cuore, tra quelle pareti erano custodite le radici della sua famiglia, radici per lui sacre. «Mi fece vedere vecchie foto - racconta Bazoli -, mi raccontò dei suoi genitori e dei suoi avi, mi fece vedere lo studio dal quale suo nonno guardava le montagne, mi disse i nomi di tutte le vette. Volle farmi visitare alcuni luoghi della Valcamonica a lui particolarmente cari, fu quasi un pellegrinaggio tanto era importante per lui quell’itinerario. Chiese, edifici storici, scorci, durante quella visita compresi appieno quanto lui amasse la Valcamonica. Le radici per Camadini erano imprescindibili.

Se Brescia deve molto a Camadini, la Valcamonica ha un debito di riconoscenza immensa verso di lui. Del resto l’affetto della sua terra gli è stato universalmente dimostrato. Camadini si è speso moltissimo per lo sviluppo economico degli interessi e dei valori della Vallcamonica un tutore formidabile».

Giovanni Paolo II con il filosofo Paul Ricoeur e Camadini - © www.giornaledibrescia.it
Giovanni Paolo II con il filosofo Paul Ricoeur e Camadini - © www.giornaledibrescia.it

Dieci anni fa, il 25 luglio 2012, moriva Camadini, lui e Bazoli erano quasi coetanei, il notaio era nato il 10 giugno 1931, il professore il 18 dicembre 1932. Giovanni - figlio di Stefano, che era stato deputato della Democrazia cristiana nell’Assemblea costituente e nipote di Luigi, che aveva fatto pratica da avvocato nello studio di Giuseppe Tovini - ci accoglie nel suo studio appena tornato da un convegno a Trento dove ha ricordato la figura di Beniamino Andreatta, suo carissimo amico come, appunto, lo è stato anche il notaio Camadini.

Si schermisce quando gli chiediamo se ha memoria del loro primo incontro. Lo colloca comunque alle elementari, «ma la nostra amicizia ha mosso i primi passi nella frequentazione della Pace (dei padri Filippini) e si è cementata nel periodo universitario, alla Fuci. Un’amicizia fondamentale, come lo sono poche nella vita. E che ha retto per tutta la vita, un’amicizia che ha inciso anche nella storia delle istituzioni bresciane, alcune delle opere oggi esistenti (come, per esempio, l’Istituto Paolo VI) sono state da noi ideate, progettate e realizzate».

Il profondo legame che li ha uniti è stato pubblicamente confermato da Camadini in una sua rarissima intervista, «con Nanni siamo cari amici, compagni di scuola fin dalle elementari, lui poi proseguì gli studi liceali all’Arici, retto dai gesuiti, mentre mia madre volle che io frequentassi la scuola più laica, direi laicista, che c’era allora a Brescia, l’Arnaldo», e ancora: «Ci ritrovammo alla Fuci e da allora non ci siamo più persi di vista. Ripeto, siamo cari amici. Abbiamo fondali molto consentanei per idealità e radicamento nella società bresciana. Ma siccome, grazie a Dio, non ci sono due persone uguali in tutto il mondo, siamo due personalità diverse che hanno avuto percorsi diversi. Lui è assurto ad altre responsabilità, io resto più legato al contesto bresciano».

L’inaugurazione della sede di Concesio: Benedetto XVI con Giuseppe Camadini nel 2009 - © www.giornaledibrescia.it
L’inaugurazione della sede di Concesio: Benedetto XVI con Giuseppe Camadini nel 2009 - © www.giornaledibrescia.it

Professore, una vera amicizia non significa però che si sia costantemente d’accordo su tutto, anzi, i rapporti sinceri lasciano spazio alla correzione fraterna. È stato così anche per voi?

Nel 1982 si è verificata la svolta del mio impegno per il Nuovo Banco Ambrosiano a Milano. Si trattava di una operazione molto complicata e rischiosa. Dico con sincerità: lui ha seguito con apprensione questo mio nuovo percorso, non solo temendo per me personalmente, ma anche per le istituzioni coinvolte. Da allora il mio baricentro si spostato prevalentemente su Milano. Se i progetti sono stati realizzati e se le istituzioni sono cresciute lo si deve esclusivamente alla sua opera. Beppe era un formidabile costruttore. Tornando alla sua domanda, rispondo di sì, ci sono state difformità di visione su alcuni temi. Ciò era dovuto, in qualche modo, ad approcci e mentalità diversi. Ma abbiamo poi sempre cercato soluzioni condivise. Le radici profonde del nostro legame non sono mai state messe in discussione.

Cosa la colpiva del notaio Camadini?

Mi ha sempre colpito quella che lui riteneva la missione della vita, Giuseppe Camadini ha avuto il grande merito di essersi dedicato con inesauribile passione a custodire le figure e le memorie, le eredità più nobili della tradizione cattolica bresciana, al fine di tramandare i valori tutto questo alle nuove generazioni. Il primo Novecento è stato il periodo d’oro del cattolicesimo bresciano. Un periodo che vide una schiera di sacerdoti e laici cattolici - tra i sacerdoti, padre Caresana, padre Bevilacqua, monsignor Capretti, monsignor Zammarchi; tra i laici, su tutti, Giuseppe Tovini, poi Giorgio Montini, mio nonno Luigi, Carlo Bresciani, Giovanni Maria Longinotti - tutti uniti in uno straordinario rapporto di collaborazione amicale, che crearono le premesse per il rilancio di una spiritualità religiosa in una Brescia che, va ricordato, era prevalentemente zanardelliana.

Questo suo essere custode ha consentito che la storia straordinaria del cattolicesimo bresciano arrivasse fino a noi. Non sono però mancate le critiche per quello che ad un’analisi superficiale poteva sembrare conservatorismo. Lei cosa ne pensa?

L’orientamento di Camadini poteva essere rappresentato dai media (sempre interessati a interpretare la realtà secondo schemi ideologici), come un arroccamento nella difesa dei valori tradizionali, ma la sua visione non comportava affatto una chiusura ad altri valori. Certamente Camadini era mosso da una grande preoccupazione di fronte alla crescente crisi valoriale che ha caratterizzato sempre di più il mondo in cui viviamo, che egli vedeva pervaso di relativismo, soggettivismo, nichilismo (sono esattamente i termini che sarebbero stati usati anche da Benedetto XVI). È pure certo che Camadini contrastava l’idea che il mondo cattolico dovesse custodire la fede solo nel privato. Era fermamente convinto che il cattolicesimo dev’essere qualcosa di vivo e operante nella società, capace di manifestarsi in forme di presenza sociale, pubblica, politica. E proprio da questo punto di vista le memorie e le figure bresciane, da lui richiamate, rappresentavano un riferimento esemplare: si pensi alla figura dell’avvocato Giuseppe Tovini, creatore instancabile di opere in ogni ambito sociale e pubblico.

Il notaio Giuseppe Camadini - © www.giornaledibrescia.it
Il notaio Giuseppe Camadini - © www.giornaledibrescia.it

Paolo VI è stato indubbiamente la figura più importante a cui Camadini ha legato la sua vita, ma non c’era solo lui nell’impegno del notaio.

Come ho detto, il magistero creato da laici e sacerdoti del primo Novecento è stato di tale livello da consentire di dire che, in qualche modo, lo stesso Paolo VI ne fu erede. Le radici della grandezza di Giovanni Battista Montini, dell’originalità del suo pensiero e della sua visione della Chiesa, vanno infatti cercate proprio in quegli anni, in quel fermento, e tra quegli straordinari protagonisti, volti che il futuro santo conosceva molto bene anche come amico.

Per quanto grandi siano state le sue opere, non pensa che possa comunque apparire riduttivo limitarsi a quelle per definire il notaio Camadini?

Certamente, il notaio Camadini è stato un grandissimo realizzatore, se così vogliamo dire. Ma, nella sua concezione, le opere dovevano sempre essere considerate quali strumenti destinati a conservare valori, tradizioni. Anche in questo Camadini era un seguace di Giuseppe Tovini, che del resto era camuno come lui...

Camadini è profondamente bresciano, camuno, ma ha avuto una visione del mondo data anche dalla sua vicinanza con la Chiesa cattolica.

Le visite a Brescia di Giovanni Paolo II, nel 1982, e Benedetto XVI, nel 2009, sono state motivate dall’attenzione che i pontefici avevano per l’Istituto Paolo VI. Questo rapporto con la Chiesa universale è stato favorito anche dalla fondamentale amicizia di Camadini con il cardinale Giovanni Battista Re (anche in questo caso un altro camuno), nonché dal cardinale Camillo Ruini con il quale aveva una profonda sintonia. Guardando al futuro, partendo dall’attenzione di Camadini verso i giovani, qual è la sua eredità? Seguire i giovani, confrontarsi con loro, aiutarli ad affrontare i problemi della vita, appassionarli alla missione di un cattolicesimo impegnato nella realtà: è questo che Giuseppe Camadini ha fatto per tutta la vita.

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