Anche i gatti di nessuno hanno dei diritti

Non si possiede mai del tutto un gatto, ma da lui tutti possono imparare che «il distacco dalle cose è un’arte e l’eleganza non fa rumore»
Il termine gattara suona come dispregiativo benché si origini da gesti d’amore verso queste creature
Il termine gattara suona come dispregiativo benché si origini da gesti d’amore verso queste creature
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Lancio un strillo alla gatta che si sta «facendo le unghie» sulla mia poltrona preferita e borbotto desolata guardando il tessuto sfilacciato. Mia figlia ce l’ha lasciata come «l’eredità Ferramonti» in affido esclusivo e, seppure a volte vorrei metaforicamente avvolgerle la coda attorno al collo, le voglio bene e la considero parte integrante della nostra famiglia. La presenza di Miciulina mi fa comprendere la gattara Adriana che spesso incontro carica di borse piene di cibo e di acqua per i gatti randagi

Arriva pressapoco alla stessa ora e comincia a chiamarli come se stesse radunando i suoi bambini. «Mici... mici... fumetto, rossino, peloso dove siete?». Eleganti come gli Aristogatti escono dal nulla e arrivano alla spicciolata, annusano il cibo nelle ciotole allineate sotto una minuscola tettoia ondulata. Osservando meglio si riconosce la struttura di una sedia priva di schienale, fissata al terreno con bocce di cemento per impedire al vento di capovolgerla. In un angolo di verde pubblico, addossate alla siepe, ci sono alcune casette di plastica fornite dal Comune per dare riparo ai gatti di nessuno e qualche mano gentile le ha imbottite con degli stracci di lana.

Dicono che i gatti abbiano sette vite, forse i randagi ne hanno di più. Deve essere così anche per questi che riescono a sopravvivere girovagando nel parcheggio della Metro di Mompiano e attraversando la strada all’improvviso fra le macchine in movimento. Adriana non è la sola ad occuparsene, l’aiutano altre signore anziane. Ognuna erode la sua pensione per acquistare crocchette o scatolette, adesso che il supermercato è fallito e non godono più dei suoi scarti gourmet.

«Anche i randagini hanno i loro diritti» dice indicando il regolamento appeso al ramo di pino, dove sono elencate le norme di tutela per i gatti di nessuno. In quei principi generali è contenuto il senso di civiltà di uno Stato che protegge gli animali liberi e vieta di allontanarli dal luogo dove abitualmente trovano rifugio, cibo e protezione. Un elenco di articoli del codice penale indica anche le punizioni per chi con crudeltà li maltratta o ne causa la morte. Il termine gattara suona come dispregiativo benché si origini da gesti d’amore verso queste creature. Non si possiede mai del tutto un gatto, ma da lui tutti possono imparare che «il distacco dalle cose è un’arte e l’eleganza non fa rumore».

 

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