Addio a Berlusconi, l’emozione e il sogno dei militanti: «Rifondare la Forza Italia delle origini»

«Non spingete, c’è spazio per tutti». Le gomitate - ai piedi della statua che omaggia Vittorio Emanuele II e su cui è abbarbicata una buona fetta del «Berlusconi fan club» giovanile - non s’interrompono: «Voglio che mia nipote riesca a vedere, per me era uno di famiglia. Mi ha costruito casa, io abito a Milano Due, che ne sa lei?». Lo sbuffo dell’interlocutore arriva tempestivo, ma lo sguardo è accomodante: «Va bene signora, passate avanti. Ma non spingete: piuttosto, sua nipote è iscritta a Forza Italia?». La nipote spalma le lacrime sul viso e s’impettisce: «Ho appena finito l’Università, volevo iscrivermi a settembre. Ma ora senza Silvio che succede? Per che cosa la faccio sta tessera?».
Eccolo il mainstream del funerale pubblico, quello partecipato dall’elettorato e dagli attivisti di partito in piazza Duomo, lo spazio in cui si può pronunciare ad alta voce la domanda attorno a cui, politicamente, gira tutto: «E adesso?». La nonna ha la risposta pronta: «Adesso dipende se questi sono capaci di onorare Silvio», che suona un po’ come la certificazione dell’onda pop della Forza Italia che fu, quel sapore nostalgia che l’epica delle nonne ha tramandato giorno dopo giorno, trasmissione dopo trasmissione, mito dopo mito. Insomma, l’idea costante di un sogno basato sui concetti di semplicità e di successo, sull’intraprendenza che premia. Questa eredità, da oggi, diventa la patata bollente di chi resta in un partito che non ha più il suo demiurgo.
Riassetto
Sui territori, i dirigenti e gli amministratori aspettano da un lato che qualcuno da Roma batta il colpo decisivo (a partire da Marta Fascina), ma dall’altro hanno operativamente innescato la corsa al riassetto del partito «in nome del presidente», perché - come hanno ripetuto tutti come una litania in queste ore - «chiamava anche dall’ospedale per portare avanti la riorganizzazione».

In concreto: a Brescia sabato 24 giugno si consuma il congresso, è già convocato. A ingranare la prima ci si pensa innanzitutto con la fine del commissariamento e con un armistizio tra correnti basato su un principio comune nobile, ossia voce e spazio agli amministratori che lavorano, e su una suddivisione tra aree che garantisca almeno un equilibrio di facciata: al gruppo di Simona Tironi la regia della segreteria provinciale (in pole, non è un segreto per nessuno, c’è il sindaco di San Zeno Marco Ferretti, ieri in piazza per il funerale di Stato), al gruppo di Adriano Paroli il coordinamento cittadino (i nomi sono due: Flavio Bonardi e Luigi Gaggia). Per l’occasione ci sarà anche il coordinatore regionale Alessandro Sorte e quindi in realtà un congresso con tutti i crismi non ci sarà: funzionerà per nomina. O, per dirla con le parole del vicesindaco di Roccafranca Moris Tomasoni, «sarà un’elezione per acclamazione». Insomma, farà fede l’applausometro.
Difficile per tutti descrivere quel che sarà. Si parte al contrario, dalle non paure: «Chi ha voluto fare scelte diverse ed emigrare verso altri partiti lo ha già fatto, quindi non ci sarà un’ulteriore emorragia - prosegue Tomasoni -. Nel centro c’è un posto importante da occupare ed è il nostro». Le prossime mosse politiche sono quelle che definiranno lo scenario, l’era nuova. E passano anche attraverso scelte apparentemente minori ma nella pratica determinanti. Esempio: il nome di Berlusconi nel simbolo si mantiene oppure no? Che si può dire anche così: quest’educazione sentimentale di piazza che ha risvegliato l’emotività e l’entusiasmo pop degli anni di gloria, si capitalizza oppure no? Di fronte ci sono le elezioni Europee, le Amministrative che a Brescia rimescolano le carte per 138 Comuni e si inizia a intravedere anche la chiamata alle urne per la Provincia: non proprio sfide da poco.
L’erede
Ieri nell’entroterra della pancia politica di partito si è fatto largo anche un ottimismo che a prima vista poteva risuonare stonato o paradossale, ma che in fondo - se ci si pensa bene e se si riavvolge il nastro che ha rappresentato l’imprinting del «meno male che Silvio c’è» - proprio paradossale non sarebbe. A esplicitarlo bene è proprio una voce bresciana: «Berlusconi dopo la sua morte potrebbe compiere il secondo miracolo politico: quello di fare tornare a casa chi si è preso una pausa. Come me, ad esempio. Perché il suo insegnamento più grande è quello di unire e di dialogare sempre. Se si riparte da un riassetto collegiale del partito, se si riparte dai valori condivisi e dalla squadra, dal contenitore e dal contenuto, allora le leadership si creeranno a partire da progetti e idee. Non bisogna negare gli errori commessi, anche a livello strutturale, bisogna imparare a non ripeterli» dice Alessandro Mattinzoli, che sogna un grande centro come molti. «Se un Paese è arrivato a sentire la mancanza della Democrazia Cristiana, significa che Fi serve più che mai» aggiunge un militante.
Il consenso, quindi, s’insegue o si suscita? La morte di Berlusconi apre a molteplici scenari e diventa quasi un «librogame» anche per il governo Meloni e, soprattutto per la Lega, che per arginare Fdi (a Brescia ma anche in Lombardia) aveva stretto un patto di ferro con gli azzurri. Questo anche perché il Cavaliere è stato sì un costruttore di istituzioni, ma sempre subordinate alla sua leadership carismatica. E istituzionalizzare il carisma è una missione quasi impossibile (nonna e nipote insegnano), tanto è vero che il dopo Berlusconi è un rebus.
Ora come ora l’erede politica - dal punto di vista della leadership - è Giorgia Meloni, che quell’eredità di cui si parla se l’è presa da sola, senza aspettare che le venisse tramandata. Resta da capire cosa significhi questo per gli azzurri, come intendano insomma giocarsi la partita e la propria immagine. Il «grande centro» è un sogno che ha la grinta necessaria per reggere il confronto con la discesa in campo del padre fondatore, quello spot «l’Italia è il Paese che amo», diventato poi emblema (nel bene, nel male e nelle sue mille contraddizioni) di uno spaccato sociale? Per la risposta non manca molto: l’ultimo saluto al presidente ha aperto i congressi.
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