Troppo cemento e degrado: un terzo dei bresciani a rischio alluvioni

Un territorio reso fragile dall’azione sciagurata dell’uomo. Una provincia coperta da troppo cemento ed asfalto, che collassa quando si abbattono temporali violenti e improvvisi. Al di là delle cause specifiche, l’ultimo evento di Niardo e Braone conferma che quella bresciana è una terra sofferente, malata di dissesto idrogeologico. La Valcamonica, in particolare.
Davvero singolare la coincidenza temporale con l’alluvione della Val Rabbia di Sonico, che il 27 luglio di dieci anni fa sconvolse il paese. Un fenomeno devastante e tutt’altro che infrequente. Consumo di suolo e cambiamenti climatici sono fenomeni strettamente legati, una combinazione che in questa estate disgraziata dimostra la sua forza tremenda. Da una parte la siccità svuota laghi e fiumi, dall’altra le alluvioni e le grandinate mietono danni alle colture, all’ambiente, agli edifici. Per fortuna non ci sono vittime umane.

Nei giorni scorsi l’Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) ha reso noto il suo Rapporto sul consumo di suolo nel 2021, che colloca la nostra provincia al primo posto in Italia con 307 ettari mangiati. Sempre l’Ispra (ente che dipende dal Ministero della transizione ecologica) nel novembre di ogni anno pubblica il Rapporto sul rischio frane e alluvioni in Italia. E di nuovo l’ultimo report sottolineava le fragilità del nostro territorio, che la cronaca sempre più spesso ci ricorda.
A rischio

Secondo l’Ispra, un terzo dei bresciani è a rischio alluvioni. Più di 360mila persone in un territorio di oltre 1.400 kmq, un terzo della superficie provinciale. Abbiamo tre grandi laghi, tre fiumi rilevanti, migliaia di fossi, rogge e canali nella Bassa, centinaia di torrenti nelle Valli: tutti potenziali elementi di rischio idraulico. Parliamo di ipotetico rischio, non di certezza, per altro con una gradazione di gravità.
L’area da codice rosso è di 375 kmq con oltre 40mila cittadini. Fra i Comuni più a rischio ci sono le località lacustri, da Moniga a Sirmione, da Manerba a Monte Isola, da Iseo a San Felice del Benaco. La fetta maggiore di territorio bresciano (e relativa popolazione) è classificata a rischio basso: 615 kmq, quasi il 13% della superficie provinciale in cui vivono 253mila cittadini (il 20%). Il rischio medio riguarda 434 kmq e 66mila residenti. Una curiosità: l’Ispra ha calcolato che i beni culturali potenzialmente a rischio alluvione nel Bresciano sono 1.292.La Valcamonica
La Valcamonica ha tante ferite aperte. Fra i punti più critici sottoposti a cura ci sono la Val Rabbia a Sonico, la Val Finale a Monno, la Valle dell’Arcanello in Val di Viso a Ponte di Legno, le valli del Blè a Ono e del Vallaro a Vione. Adesso dovremo aggiungere l’area del torrente Re fra Niardo e Braone. In questi anni, bisogna dire, la Regione ha investito ingenti risorse per cercare di mettere in sicurezza le zone più problematiche.

Le frane
Sono un altro capitolo ancora. Sempre l’Ispra calcola che oltre 5.600 famiglie bresciane (più di 13mila persone) vivano in zone a rischio frane, un territorio di circa 400 kmq. Sono quasi seimila gli edifici potenzialmente in pericolo a cui aggiungere mille e duecento locali che ospitano imprese. Frane ed alluvioni spesso si accompagnano e chiusa l’emergenza restano le cause principali del dissesto. Il degrado del territorio e la rigenerazione urbana sono una priorità da affrontare. Un’emergenza sempre più tale nel Bresciano. Episodi come quelli dell’altra notte rischiano di diventare fatti abituali.
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