Processo Bozzoli, tutta la versione di Giacomo alla Corte
Dalle 9.38 alle 12.54. Senza una pausa. Rispondendo colpo su colpo ad ogni domanda. Tre ore e venti minuti per raccontare la sua versione dei fatti. Per la prima volta pubblicamente. «E dirò solo la verità perché sono innocente» sono state le parole pronunciate da Giacomo Bozzoli prima della sua deposizione nel corso del processo in cui è imputato per omicidio volontario e occultamento del cadavere dello zio Mario, l’imprenditore di Marcheno svanito nel nulla l’8 ottobre 2015.
Ha affrontato tutti i punti contestati in sei anni e mezzo di indagini. Pochissimi i «non ricordo», tante le precisazioni, i dettagli ricostruiti con orologio e mappa della fonderia alla mano. «Sono sei anni e due mesi che mi chiedo che fine abbia fatto mio zio. E non mi sono ancora dato una risposta. Quando l’operaio Ghirardini si è suicidato ci ha lasciato un po’ perplessi. Inizialmente pensavo ad un malore di mio zio o, visto che gli piacevano le donne, che potesse essere andato via qualche giorno. Sono contento di essere seduto in questa aula per rispondere alle domande. Io ho ucciso mio zio? Ma stiamo scherzando?!».
I rapporti con lo zio
«Tutti dicono che io e mio zio non avevamo buoni rapporti, ma chissà come mai nessuno ha mai visto litigare me e mio zio. Non c’è mai stata nessuna lite con mio zio, lo devo solo ringraziare perché mi ha insegnato a lavorare. Ho salvato il suo nome sul cellulare come "merda" per due mesi e poi ho messo zio Mario. È stata una bambinata, ma l’aggettivo non era associato a mio zio Mario, ma è quello che lui mi diceva quando pesava il materiale. Diceva che c’era dentro tanta merda. Non ho mai proposto a nessuno di fare del male a mio zio. C’è un operaio che è stato 36 anni in azienda e che a domanda ha risposto: "Io non ho mai visto Alex, Giacomo e Adelio litigare con Mario e se me ne sono andato è solo perché i nipoti mi rompevano le scatole"».
Le accuse della ex
«Per me lei ha visto un film su Sky. Ha detto un sacco di stupidaggini. Aspettava quel momento per farmi del male e rovinarmi la vita, me lo aveva promesso quando ho deciso di troncare. Ha raccontato anche che facevo la roulette russa con lei puntandole una pistola, ma uno che fa una cosa del genere è da rinchiudere in manicomio. L’ho lasciata perché ero stanco e perché lei era più interessata ai miei soldi che a me».
La sera della scomparsa
Il cambio di produzione
«Sono tornato in azienda dopo essere uscito una volta perché mio fratello non mi ha risposto al telefono e volevo dirgli di cambiare materiale da produrre. Perché non ho chiamato l’operaio Maggi? Perché mio fratello sapeva come gestire il Brail mentre Maggi capiva poco o niente. Se mio fratello mi avesse risposto non sarei mai tornato indietro quella sera»
Le telecamere spostate
«Non era un sistema difficile da capire. È stato creato un cinema attorno alle telecamere. Mio fratello ha insegnato ad utilizzarle prima a mio zio, poi a me e infine a mia zia Irene. La telecamera numero 6 era puntata da un pezzo verso gli spogliatoi perché mio zio aveva il sospetto che gli operai oltre a rubare le ore rubassero anche il materiale. Quella sui rottami era stata puntata da mio zio perché c’era del rame che costava otto euro al chilo. Temeva che gli operai prendessero dieci-venti chili di rame alla volta. Sapevo che le telecamere erano state spostate perché ce lo aveva detto mio zio».
La denuncia della zia
Il 9 ottobre 2015 Irene Zubani sporge denuncia di scomparsa. Parla delle paure del marito e firma di fatto un atto d’accusa nei confronti di Giacomo, del fratello Alex e del padre Adelio. «La denuncia che ha fatto la signora Irene Zubani il giorno dopo è ignobile. Ha puntato il dito contro di me e la mia famiglia. Non so spiegare perché. Il giorno dopo quella denuncia, sono entrato in caserma alle 15.30 e sono uscito alle 21.30 e - si commuove - c’erano fuori ad aspettarmi la mia compagna e mio figlio».
L'ipotesi dell'accusa
«Dicono che io abbia portato fuori mio zio in auto e lo abbia messo in un sacco. È una scena da film alla quale non crede nessuno. Io non ho messo in un sacco nessuno. Io oggi sono qui con l’accusa di aver messo un cadavere in un sacco e non si sa come. Di averlo trascinato in auto ed è per questo che ho studiato gli atti e ricostruito tutti gli spostamenti. I secondi e i minuti sono diventati importanti dal 2020 quando i pm hanno parlato del sacco. In quattro anni e mezzo la pubblica accusa ha cambiato quattro volte ipotesi».
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