Caso Bozzoli, dopo 7 anni Marcheno in coro: «Finalmente abbiamo una sentenza»
È ottobre, come sette anni fa quando il nome di Marcheno fa il giro d'Italia. «E purtroppo saremo sempre il paese dell'omicidio Bozzoli» ammette una signora. Lei, come tanti in paese, rispetto ad allora, non allunga il passo quando vede un giornalista. Il giorno dopo la condanna all'ergastolo pronunciata al termine del processo di primo grado nei confronti di Giacomo Bozzoli, la gente ha voglia di parlare.
Di commentare, di dire: «Finalmente abbiamo una sentenza». Questo voleva Marcheno. Arrivare a mettere un punto fermo dopo 2.579 giorni di un giallo, iniziato l'otto ottobre 2015 con la scomparsa di Mario Bozzoli, svanito nel nulla nella sua fonderia di via Gitti. L'azienda ora ha un'altra proprietà, non c'è più l'insegna gialla entrata in tutte le fotografie finite sui giornali dal 2015.
Vicino ai citofoni un cartello scritto a mano: «Non lasciare posta della Bozzoli». Nell'immaginario collettivo resta «la fonderia del mistero». Nel senso che «solo chi c'era sa cosa è accaduto lì dentro» spiega un passante.Per i giudici della Corte d'Assise è stato Giacomo Bozzoli ad uccidere lo zio Mario gettandolo nel forno. Con la complicità di Giuseppe Ghirardini, poi suicidatosi una settimana dopo, degli operai Oscar Maggi, per il quale i giudici hanno chiesto alla Procura di indagare per concorso in omicidio e distruzione di cadavere, e il senegalese Abu, che ora rischia un processo per favoreggiamento.
«Giustizia è fatta, ma è solo il primo grado. Per me è andata come doveva andare» si sfoga una donna. «Conosco tutta la famiglia e anche alcuni operai che lavoravano in azienda e che hanno sempre detto dell’odio che Giacomo provava verso lo zio. Certo - prosegue - tra odiare e uccidere c’è una bella differenza, ma credo che non esistano alternative alla conclusione dei giudici, ma la strada è lunga». Attorno alla villa dei Bozzoli, proprio all’ingresso del paese, c’è solo silenzio. Mario e Adelio, i due fratelli, erano vicini di casa. Li divideva solo una rete. Ora c’è una condanna che segna un punto di non ritorno.
La reazione
Al caffè della Loggia, sotto i portici a pochi passi dal Municipio, il day after ha fatto registrare un'impennata delle vendite di giornali. «La gente non parla d'altro» conferma il barista. «Non si poteva lasciare finire senza esito una vicenda così. Troppo grossa, troppo dolorosa per far finta che non sia successo nulla» racconta un avventore. Dietro di lui, un signore divora la Gazzetta dello Sport, ma sente tutto.
«Fatti loro, non voglio dire nulla» taglia corto. Due donne pensano prima di tutto a chi non c'è più. «Mi dispiace per Mario che incontravo spesso. E poi mi vengono in mente soprattutto i suoi figli che hanno perso un padre e la moglie che non ha nemmeno una tomba sulla quale piangere il marito». Secondo l'accusa in aula «la tomba di Mario è il forno della sua azienda».
Per alcuni non poteva che essere questo l’epilogo. «Sono state sbagliate le indagini all'inizio. Era chiaro che in quella fonderia il forno era al centro della scena» è il pensiero raccolto al tavolino del bar. Tutti d'accordo nel dire che l'omicidio Bozzoli ha segnato l'intera comunità. E non è una frase fatta. È un ragazzo a raccontare il clima degli ultimi sette anni vissuto in un paese di 4mila anime dove si conoscono tutti. «A partire dalla famiglia Bozzoli. Perché non possiamo nasconderci che quella azienda che ora non c'è più ha dato lavoro a tante generazioni delle nostre famiglie».
Poi il racconto di come Marcheno sia stato travolto dallo tsunami dell'inchiesta.
Giudiziaria e mediatica
«Per un periodo lunghissimo abbiamo convissuto con la presenza di carabinieri, investigatori, uomini della Protezione civile. Scene alle quali nessuno di noi era abituato. Poi da allora c'è sempre stata paura in paese a confrontarsi su quella vicenda. Sembrava non si sarebbe mai più sbloccata e che tutti noi residenti fossimo in qualche modo intercettati. Nel senso che non si sapeva come sarebbe state utilizzate anche le frasi dette in libertà» spiegano per strada.
Il sindaco Diego Bertussi sceglie la strada istituzionale. «Ci sarà ancora l’Appello e poi la Cassazione». Ma ammette: «Per il paese resta una ferita aperta. Ma un punto doveva essere messo».
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