Strada facendo

Il manzo all'olio di Rovato e il giallo delle acciughe

Le diversità tra gli ingredienti odierni e quelli di Donna Porcellaga del '500: il piatto è riconosciuto come prodotto De.co.
Il manzo all’olio, prelibatezza rovatese
Il manzo all’olio, prelibatezza rovatese
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Passeggio sotto i portici di piazza Cavour, razionale e gradevole spazio pubblico firmato dall'architetto Rodolfo Vantini nei primi decenni dell'Ottocento, salotto e cuore dell'antica capitale della Franciacorta. Incrocio due signore che discutono animatamente su alcuni dettagli della ricetta principe della cittadina: il manzo all'olio di Rovato, piatto tradizionale della zona per antonomasia. Parliamo di un secondo piatto a base di carne bovina, specificatamente un cappello del prete, cotta lentamente in olio extravergine d'oliva con l'aggiunta di aglio, acciughe, prezzemolo. Riconosciuto come prodotto De.co. (Denominazione comunale d'origine) dal 2018.

La lenta, cottura e il riposo in olio conferiscono alla carne una consistenza tenera e saporita. Si deve in gran parte a Giuseppe Bonomelli, macellaio rovatese che vide la luce nel 1849, la fama del manzo di Rovato. Nel 1881 conquistò la medaglia d'oro presentando all'Esposizione di Milano, antenata di quella mitica Fiera Campionaria, che avrebbe accompagnato decenni d'italico boom economico, un manzo di quattordici quintali. Unitamente ad altre fortunate esposizioni, l'evento contribuì in modo determinante a costruire l'ancor solida fama di Rovato, centro produttivo e mercato di primo piano carne bovina. Ben prima del bovino, però, era conosciuto ed apprezzato il piatto... da esso derivato: il manzo all'olio di Rovato. Basti dire che nella raccolta di Donna Veronica Porcellaga, vissuta in questa dinamica contrada tra il 1554 e il 1593, si trova la più antica ricetta del manzo all'olio tradizionale di Rovato.

Il gustoso manzo all'olio di Rovato
Il gustoso manzo all'olio di Rovato

Con lo scorrere degli anni, divenuti secoli, il pur tradizionale piatto, uno dei pochi veramente tipici, che la cucina locale possa vantare, aveva perso smalto. All'inizio del nuovo secolo, l'Amministrazione rovatese, sensibile all'azione intrapresa da un gruppo di ristoratori e macellai locali, decise di rinverdire i fasti del piatto tipico, lavorando con determinazione per ottenere la De.co., nella convinzione sarebbe risultata un utile strumento per tutelare e rilanciare un pilastro culinario della tradizione locale. Un'iniziativa che ebbe successo e che effettivamente ha contribuito a rinverdire la nomea del piatto e della cittadina franciacortina.

Forse le signore di piazza Cavour si confrontavano sugli ingredienti, tema che ci consente di approfondire il «giallo dell'acciuga». La cinquecentesca ricetta di Donna Veronica dava conto di questi ingredienti: carne bovina (scamone o cappello del prete) da un chilo, un bicchiere d'olio d'oliva, due bicchieri di vino bianco, uno spicchio d'aglio, prezzemolo tritato, rosmarino tritato, pepe e vendita. Per molti appassionati ed esperti del piatto tipico locale, gli ingredienti fondamentali del manzo all'olio tradizionale di Rovato sono: la carne di manzo di Rovato (ça va sans dire) esclusivamente nel taglio denominato cappello del prete – se il vostro cronista non s'inganna si tratta della parte centrale della spalla – l'aglio, le acciughe e l'olio extravergine d'oliva.

Come, qui appaiono le acciughe, delle quali non v'era traccia cinquecento anni fa! Così è se vi pare, confermano i ristoratori impegnati nella riscoperta. All'ombra del Monte Orfano e dell'Annunciata si continua a valorizzare con convinzione la De.co., attribuzione che tanto a cuore stava all'indimenticabile Luigi Veronelli, decano dei giornalisti enogastronomici del Belpaese. Una carta in più per Rovato e per la sapida cucina bresciana.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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