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Rugby Brescia, gli eroi «sporchi e cattivi» e lo scudetto di 50 anni fa

Gianluca Barca
Un’alchimia perfetta e irripetibile che portò 50 anni fa alla vittoria dello scudetto. Uno dopo l’altro arrivarono campioni italiani e stranieri che rivoluzionarono metodi di gioco e allenamenti
Il Brescia che vinse lo scudetto nella stagione 1974-1975 - Foto archivio storico Eden/GdB © www.giornaledibrescia.it
Il Brescia che vinse lo scudetto nella stagione 1974-1975 - Foto archivio storico Eden/GdB © www.giornaledibrescia.it
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Brescia 1972. La Mille Miglia, massimo palcoscenico sportivo della città, è ormai un ricordo. Idem il calcio di serie A: la formazione promossa nel 1965 con Renato Gei, dal 1968 è tornata a giocare nella categoria inferiore e ci rimarrà ancora per un bel po’.

È vero, Michele Dancelli nel 1970 ha vinto la Sanremo e Pierfranco Vianelli, ciclista di Provaglio d’Iseo, due anni prima aveva conquistato la medaglia d’oro alle Olimpiadi di Città del Messico. Nel complesso però, a parte qualche discreto pugile, nei primi anni Settanta, il panorama dello sport bresciano di successi è povero.

La folgorazione

Accade così che Lorenzo Bonomi, conquistato al rugby da Mario Ruggeri, a gennaio del 1972, decida di recarsi a Cardiff, dove si gioca Galles-Inghilterra, per imparare un po’ di quella disciplina che conosce poco. È una folgorazione improvvisa: l’atmosfera della capitale del Principato lo rapisce, i suoi colori, i suoi tifosi in fremente attesa lo affascinano. E l’inno «Hen Wlad Fy Nhadau – La terra dei nostri padri», cantato sulle tribune a pieni polmoni lo acquisisce d’ufficio alla «confraternita delle lacrime facili». Impossibile resistere alla commozione di quelle strofe intonate dal pubblico con tanta passione.

Sulla via del ritorno, Bonomi si chiede perché non si possa portare un briciolo di quelle emozioni anche in Italia. E si verifica il miracolo: la settimana successiva, il Rugby Brescia, che da anni traccheggia tra la serie B e la serie A, gioca a Bologna, dove proprio un gallese, David Cornwall, in campo fa sfracelli. Bonomi decide che è quello l’uomo cui va affidata la missione di portare il verbo del rugby in città.

Passaggi

Convince i dirigenti ad ingaggiarlo e Cornwall, il primo anno, aiuta il Brescia a risalire dalla B, dove nel frattempo era sceso, alla A. «Ma non volevo accontentarmi di una squadra di comprimari – racconta Bonomi a distanza di cinquant’anni da quell’avventura –. Per prima cosa bisognava riportare a casa i bresciani che in mancanza di grandi traguardi erano andati a rinforzare altre squadre in giro per l’Italia».

Ettore Abbiati, per tutti semplicemente «Cubo» - © www.giornaledibrescia.it
Ettore Abbiati, per tutti semplicemente «Cubo» - © www.giornaledibrescia.it

Il primo a rientrare dal Cus Genova è Ettore «Cubo» Abbiati, mentre da Frascati approda sotto il Cidneo Tonino Spagnoli, anche lui reduce dal tour della nazionale in Sudafrica. Dal Galles – e da dove sennò? – arrivano Clive Burgess e Alan Huorihaine. Burgess è un fenomeno e i giornali gallesi si rammaricano che un tale talento «abbia trovato lavoro in Italia». Quella di un impiego fittizio è la formula inventata per evitare squalifiche a livello internazionale: il rugby fino al 1995 rimarrà rigorosamente dilettantistico, chi sgarra è fuori.

Con Corwall giocatore-allenatore, il Brescia disputa una stagione in crescendo e finisce quarto: dietro a Petrarca, L’Aquila e Roma.

La svolta

I gallesi hanno rivoluzionato il gioco e i metodi di approccio alla partita. Cornwall ha fatto tappezzare lo spogliatoio di messaggi motivazionali: «Pensa in grande». E il club comincia a pensare in grande davvero. Bonomi ha convinto la società di assicurazioni Concordia, di cui è dirigente, che la squadra, con opportuni investimenti, può vincere lo scudetto e diventare un ottimo veicolo pubblicitario. Nel frattempo, intorno al rugby e al presidente Silvano Antonini si sono riuniti numerosi imprenditori bresciani: i Belleri della Sheraton di Bagnolo Mella, Mauro Stefana, dell’omonima acciaieria, Aldo Artioli dell’allora neonata Aso, Franco Nocivelli, Luigi Orlandi, Mario Ruggeri, Angelo Mario Borra e altri ancora.

Mai nella storia dello sport bresciano si erano viste, e si vedranno in futuro, tante forze economiche del territorio intorno a una squadra sola.

Bonomi ha via libera per una campagna di acquisizioni importanti e convince a trasferirsi a Brescia il giocatore italiano più famoso di quell’epoca: Marco Bollesan. Comincia a quel punto un’avventura irripetibile che coinvolgerà la città intera. Quella dello scudetto dell’aprile 1975.

Il gruppo dei «banditi»

Quando Marco Bollesan, allora capitano della Nazionale, viene convinto a trasferirsi a Brescia, la condizione che pone è di avere con sé il gruppo che lui chiamava dei «banditi», quelli che nel 1973 lo aveva accompagnato nella tournée in Sudafrica. Spagnoli e Abbiati vestono già i colori biancazzurri dall’anno prima, quello del quarto posto, così come il gallese Huorihaine, Salvatore Bonetti e Cochi Modonesi rientrano da Parma, Adriano Fedrigo arriva da Rovigo, Paoletti, come Bollesan, dal Cus Genova.

Beppe Vigasio con la maglia del Rugby Brescia l’anno dello scudetto ’74-’75 - Foto d'Archivio  © www.giornaledibrescia.it
Beppe Vigasio con la maglia del Rugby Brescia l’anno dello scudetto ’74-’75 - Foto d'Archivio © www.giornaledibrescia.it

E poi ci sono i bresciani, che come dice oggi Cornwall fecero un grande sacrificio per dare una mano ai campioni: Roberto Pegoiani, Emanuele «Pisolo» Moreschi, Oliviero Geroldi, in prima linea, Carlo Bianchi, Beppe Vigasio, in seconda, Franco Del Bono, Claudio Colombi, Ulderico Biazzi a completare la mischia, con Apollonio Apollonio, Gianluigi «Merlet» Antonelli, Alberto Scola, Riccardo Invernici, Sergio Ambrosini, Enrico Sina e Massimo Preseglio nei trequarti.

Un altro gallese Gordon Collins ha sostituto Burgess che ha deciso di tornare in patria ingolosito dalla possibilità di vestire la maglia della Galles. Così nasce il Brescia dello scudetto 1974-1975. Il gruppo è formidabile, le altre piazze schiumano rabbia: dicono che quella di Brescia è squadra di mercenari.

Una foto di squadra a Brescia
Una foto di squadra a Brescia

Adrenalina

Ma più che di mercenari è una squadra con tanti galli nel pollaio: Bollesan, capitano, e Cornwall, giocatore-allenatore, sono due capipopolo che non si amano. Nel girone di andata i biancazzurri perdono solo con il Petrarca e a L’Aquila e pareggiano a Treviso, 6-6. Ma al ritorno le cose si complicano: arrivano le sconfitte a Catania e con le Fiamme Oro, il pareggio a Frascati. La società ha il suo bel daffare per tenere la disciplina e, a un certo punto, a metà stagione, per calmare le acque, è costretta a imporre a Cornwall un passo indietro e ad affidare a Beppe Vigasio, uno dei saggi del gruppo, il ruolo di allenatore. Al gallese viene chiesto di pensare solo a giocare. A Padova il Brescia pareggia, 12-12, con una meta di Spagnoli a una manciata di minuti dalla fine e, con due sole gare ancora da giocare, la classifica recita: L’Aquila 32, Brescia 31, Petrarca 28.

Il 13 aprile, a via Collebeato, penultima giornata, va in scena lo scontro diretto con gli aquilani. L’intera città freme in vista del match che può valere il sorpasso e fare la storia. «Arrivammo in pullman e già due ore prima della partita trovammo ad aspettarci migliaia di spettatori – ricorda Tonino Spagnoli –, una cosa che ci diede una carica enorme».

Record di spettatori a Collebeato - © www.giornaledibrescia.it
Record di spettatori a Collebeato - © www.giornaledibrescia.it

Per l’occasione erano state costruite tribune supplementari e gli appassionati si erano arrampicati perfino sul tetto degli spogliatoi. Oggi verrebbe chiamata la polizia e in quelle condizioni la partita non potrebbe nemmeno cominciare. Riccardo Invernici, ex saltatore in lungo, segnò la prima meta, Bollesan in tuffo marcò la seconda.

Un momento del match giocato in casa contro L'Aquila - Foto archivio storico Eden/GdB © www.giornaledibrescia.it
Un momento del match giocato in casa contro L'Aquila - Foto archivio storico Eden/GdB © www.giornaledibrescia.it

Beppe Vigasio racconta: «Bonetti fece una percussione inarrestabile, ruppe il placcaggio di tre o quattro avversari e, a un metro dalla linea, diede il pallone a Bollesan». «Nembo» Bonetti conferma, ma nella foto consegnata agli archivi si vede solo il tuffo del capitano.

L’ultima partita si disputava a Roma, un passo falso avrebbe mandato tutto in fumo. Nei giorni che precedettero la trasferta, la cronaca registrò anche il tentato rapimento di Mauro Stefana, vice presidente del club. Ma al Flaminio, Invernici e Bollesan si ripeterono, con una meta ciascuno, e Cornwall aggiunse 11 punti dalla piazzola, compreso un drop: il finale fu a lieto fine, con tanto di festa e torte in faccia nei giorni successivi nella trattoria «da Banana», a Folzano.

La partita della vita a Roma - © www.giornaledibrescia.it
La partita della vita a Roma - © www.giornaledibrescia.it

Per Brescia era in assoluto il primo successo tricolore a livello di squadra. Ai dirigenti di allora, in un’epoca distante anni luce dalla fama globale, un riconoscimento locale bastava ed avanzava per sentirsi accomunati nella gloria.

Felicità

«Sul pullman che ci riportava a casa da Roma, non facemmo altre che cantare “campioni, campioni....” – ricorda Alberto Scola –. Era un sogno diventato vero. Ci festeggiarono persino al Teatro Grande, dove io non avevo mai messo piede prima di allora».

«Non c’è molto altro da dire – racconta Cochi Modonesi – quell’anno eravamo i più forti, ci siamo meritati la vittoria». Il lunedì mattina a suonare il campanello a casa Vigasio, per fare i complimenti, in via della Barricata, sotto il Castello, si presentò nientemeno che il sindaco Bruno Boni. «Tutto è bene quel che finisce bene – dice oggi Vigasio sotto i suoi baffoni –, ma pensate se non avessimo vinto, che figura avrei fatto: chiamato per mettere pace e, chissà perché proprio io, promosso sul campo domatore in una gabbia di leoni».

Il documentario di Teletutto

Alcuni purtroppo non ci sono più: «Pego», «Ciombo», «Gero», «Cubo», «Ambro», Alan, Bianchi, Paoletti e Bollesan se ne sono andati anzitempo. Collins si è trasferito in Australia e da un certo momento in poi non è stato più possibile rintracciarlo.

L'impresa sportiva sarà al centro di un documentario di Teletutto
L'impresa sportiva sarà al centro di un documentario di Teletutto

Gli altri, a metà marzo, si sono dati appuntamento al Menta per consegnare i loro ricordi al documentario che Teletutto con l’appassionata regia di Paolo Bergamaschi e l’archivio fotografico di Beppe Vigasio sta confezionando per celebrare i cinquant’anni di quel successo senza precedenti. Mancava solo Adriano Fedrigo che vive a San Donà.

È una pagina di storia in cui rivive una realtà molto diversa da quella attuale, non solo dal punto di vista sportivo. «Il rugby era stata la nostra occasione per uscire dai confini della provincia e conoscere l’Italia –racconta in una delle tante interviste Franco Del Bono – fermarci a mangiare al Cantagallo dopo le trasferte a Roma ci sembrava una cosa eccezionale. Una ricompensa che valeva tutti i sacrifici che noi facevamo per giocare». «A volta mi capita di trovarmi con gente che dice di sapere che il Brescia aveva vinto lo scudetto del rugby – confessa Emanuele Moreschi che oggi fa l’imprenditore –. Io non dico mai “guardate che io c’ero...”. Però se qualcuno avverte i presenti che io facevo parte di quella squadra, certo che mi fa piacere. Un po’ mi inorgoglisce pensare che sono stato campione d’Italia».

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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