Il museo della quotidianità perduta: i magazzini degli oggetti smarriti

Pensate a un oggetto qualunque e qui lo troverete. Un tablet? C’è. Un completo da palestra? C’è. Un passeggino? Pure. Un quadro? C’è anche quello. Un monopattino, biciclette più e meno costose, banconote, un bastone per ciechi, portafogli, apparecchi acustici, un casco, collanine, braccialetti, anelli, borsette, borsoni, zaini, valigie, indumenti, strumenti musicali.
I magazzini
Benvenuti nei due magazzini degli oggetti smarriti di Brescia, luoghi fuori dal tempo, dove si accumulano le cose dimenticate (per sempre, o forse solo per un po’) dalla città e dai suoi abitanti. A gestirli sono il Comune e Bs Mobilità: due capannoni distinti nei quali è «allestito» un piccolo museo della quotidianità perduta che racchiude oltre un migliaio di articoli di ogni tipo.
Registro digitale
Tra gli scaffali ci sono telefoni allineati come soldati stanchi; una sfilata di chiavi (di auto, ma anche di casa) che sembrano uscite da un racconto di Borges, pronte ad aprire porte che forse non esistono più; borse che sembrano custodire segreti da dimenticare. In un angolo, un passeggino impolverato racconta un’assenza più che una presenza. Ogni oggetto ha una storia e, giorno dopo giorno, Mary Molfetta cerca di darle un finale con il suo lavoro di catalogazione e di ricerca condotto dall’ufficio comunale di via Marchetti, coordinato dalla responsabile del servizio, Monica Vavassori. Alcuni oggetti sono custoditi in ufficio, altri nel deposito che sta nella cittadella del comando di via Donegani, costantemente sorvegliato. Qui si trova tutto ciò che le persone dimenticano per strada, sui treni, nei musei, mentre gli oggetti abbandonati sugli autobus o in metropolitana «riposano» in via San Bartolomeo. In entrambi i casi, ogni cosa viene fotografata, catalogata e inserita nel registro digitale, dove si trova l’archivio completo delle «vite interrotte».

La sala d’attesa
Circa la metà degli oggetti trova il proprio finale: a volte sono i funzionari a riuscire a rintracciare il proprietario, più sporadicamente c’è chi si mette a caccia di quanto perso. Attenzione, però: nessuna restituzione è automatica: serve una denuncia, un atto formale che mette in moto una procedura di riconoscimento. Il resto rimane in «sala d’attesa», impilato sulle scaffalature in metallo, per un anno abbondante.
Quello che resta
E poi? «Questa – dicono le dipendenti comunali, indicando una collanina avvolta in un sacchetto di plastica – è stata trovata per strada. Se il proprietario non si fa vivo entro un anno, chi l’ha consegnata a noi potrà reclamarla e tenersela». Mary Molfetta, allo sportello, è la voce che accoglie chi cerca, chi ha smarrito qualcosa di importante e spiega le regole del gioco. Racconta che scavalcato un anno, se nessuno si fa vivo, gli oggetti si trasformano. Le biciclette diventano mezzi per gli uffici comunali, i gioielli e gli oggetti di valore vengono valutati, i telefoni vengono sempre resettati e ripuliti dai dati e poi smaltiti, quello che resta finisce all’asta. I soldi raccolti entrano nelle casse del Comune, ma si tratta di poche migliaia di euro all’anno, piccoli segnali di un sistema che non spreca nulla.

Le storie
Tra le storie che abitano questo luogo ce ne sono alcune che sembrano l’inizio di un romanzo. Come quella di un uomo che ha perso 5mila euro, l’incasso di una giornata di lavoro, mentre stava rincasando in moto. Le banconote sono lentamente scivolate dalla sua tasca a intermittenza, svolazzando per aria per più di qualche chilometro. Diversi passanti, di zona in zona, li hanno raccolti e tutti si sono ritrovati allo sportello degli oggetti smarriti per restituirli. Storie interrotte e ricucite, imprevisti che si trasformano, l’attesa che diventa incontro. È (anche) così che un oggetto smarrito diventa «qualcosa in più».
Riproduzione riservata © Giornale di Brescia
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