Michele, nato il 3 ottobre 1967: il cittadino numero 200mila

Quell’anno in città ne nacquero 3.449. Era il 1967. In Medioriente esplode la guerra dei sei giorni, Che Guevara viene fucilato in Bolivia, i Beatles lanciano Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band, Paolo VI pubblica l’enciclica Populorum progressio. «Lo sviluppo non si riduce alla sola crescita economica», dirà il pontefice bresciano. Ma a fare da traino alle riflessioni sullo sviluppo c’era il boom demografico, diffuso in tutto il Paese.
Michele Lussignoli nasce in questo contesto, il 3 ottobre di quell’anno. Fu il bresciano numero 200.000.
Il sindaco Bruno Boni fece omaggio alla famiglia qualche giorno dopo, facendo visita alla mamma Teresina Feroldi nella clinica Moro (oggi chiusa, si trovava nei pressi dell’ex tribunale, oggi Mo.Ca.).
«È un ricordo che è ricorso spesso nella mia famiglia e che io tramando attraverso la testimonianza di mia madre, non potendo ovviamente averne memoria - spiega Lussignoli, che in qualche modo rappresenta il simbolo dell’apice del boom demografico bresciano -. Fu mio padre Eugenio a scoprire che ero il duecentomilesimo cittadino bresciano, quando mio padre andò a registrarmi all’anagrafe. In quella sede gli impiegati gli dissero che il sindaco sarebbe passato a trovarci».
E così fu. Boni arrivò con un mazzo di fiori in una mano e una medaglietta nell’altra. Il 19 ottobre la famiglia ricevette in via Montello le fotografie della visita e una lettera del primo cittadino. «Nel rinnovare a lei, a suo marito e al piccolo Michele i migliori auguri, con sincera cordialità la saluto». «Quando ero bambino si parlava della mia singolare onorificenza a scuola, soprattutto durante le visite come quella in Loggia. È un ricordo a cui sono rimasto legato». Un ricordo vivido come quello del contesto in cui ha vissuto: «Dopo i compiti le vie intorno a via Veneto erano piene di bambini e ragazzi. Era molto bello e credo che questo sia un aspetto che manca ai ragazzi di oggi».
Cinquantotto anni e tanti alti e bassi dopo Brescia ha quasi gli stessi abitanti di allora. «Era un contesto completamente diverso da quello di oggi. Ma la lenta crescita di Brescia dipende anche dal fatto che in tanti si sono spostanti nei comuni limitrofi, per motivi economici, di spazio o legati all’acquisto di case».
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