La «macchina» del Castello: dietro le quinte degli Internazionali

Come spesso succede nel tennis, a un certo punto a Viola Turrini è venuto il braccino. Vinceva 5-0 il terzo e decisivo set contro Eva Vedder e, in men che non si dica ha visto evaporare tutto il suo vantaggio dopo un break di 4-0 dell’olandese e qui è avvenuto l’imponderabile. Presa dalla foga, la promettente diciannovenne di Prato è finita a terra ed ha cominciato a piangere per il dolore. No, non sarebbe stato giusto perdere così. Per fortuna è subito sbucato sul campo il fisioterapista Luca Foglia, avvertito dall’arbitro, e in pochi secondi l’ha rimessa in sesto. Rinfrancata per quanto avvenuto, Viola ha ripreso a giocare meglio di prima e ha vinto il match. «Problema di poco conto – ha spiegato Foglia – a volte le atlete hanno bisogno di un supporto più che altro psicologico».
Dietro le quinte
Luca, col collega Federico Panzuto, non è che uno dei tantissimi soldati di un esercito sconosciuto che si è mosso con discrezione dietro le quinte degli Internazionali femminili conclusisi nei giorni scorsi in Castello con l’ennesimo successo organizzativo e di pubblico. Presi dalle emozioni offerte dal campo non ce ne rendiamo conto, ma senza di loro – orchestrati da Alberto Paris, direttore della Forza e Costanza e dalla sua ombra Elisa Belleri – nulla sarebbe possibile. Niente viene lasciato al caso, ognuno ha un compito ben definito a partire dall’addetto ai parcheggi Marco Moia – sul piazzale ogni giorno dalle 8 alle 20 – per lasciare sempre liberi i posti destinati ai quattro autisti che portano le atlete dagli alberghi al campo.

Gli inconvenienti
Soprattutto i primi giorni sono quelli più impegnativi, specie se – come è successo già il martedì – la pioggia cancella un intero ciclo di gare. Per recuperare, il mercoledì ne vengono disputate 18 e le luci dell’impianto in Castello si spengono solo alle 23.30. Nelle fasi iniziali del torneo la struttura si riempie all’inverosimile: giocatrici in attesa del match, quelle che si stanno allenando o solo riposando nella zona relax – dove possono tirare il fiato anche arbitri e giudici di linea – in gradinata spettatori, amici, curiosi provenienti da ogni parte del pianeta e da esperienze diverse.
A tifare per la veronese Aurora Zantedeschi, incappata nel primo turno proprio in Kaja Juvan, poi vincitrice del torneo, anche Angiolino Cingia, uno dei più forti giocatori bresciani di tamburello. «Sono qui perché papà Domenico ha praticato per anni il mio stesso sport ad altissimi livelli e siamo molto amici – spiega –. Non ha potuto venire e in tempo reale lo informo sul risultato». E puoi sentire tutte le lingue del mondo ma quella ufficiale resta l’inglese, parlata dagli arbitri anche se in campo ci sono due italiane, perché il pubblico straniero si sia sempre informato su quello che accade.
Dettagli
Sono certe finezze a fare la differenza, come gli ombrellini che spuntano fuori, a beneficio degli spettatori, alle prime gocce di pioggia. O le mani sconosciute che, finito il temporale, vanno ad asciugare le sedie perché tutti possano usarle. L’osservanza delle regole viene trasmessa con delicatezza e altrettanta fermezza, i campi sono disposti l’uno dopo l’altro fra gli spazi angusti dell’area del Castello e va fermato chi cammina durante gli scambi col rischio di disturbare le atlete in gioco. I più coinvolti sono i giovanissimi raccattapalle, non ancora scattanti come quelli del Roland Garros, però hanno seguito uno stage per essere lì. «L’emozione spesso coglie anche loro – spiega Paris – perché come i giocatori avvertono la presenza del pubblico».
A guidarli spesso ci pensano gli stessi arbitri, cosi come dal desk la vicepresidentessa Laura Schiffo coordina ogni fase organizzativa, dai movimenti delle hostess dell’area sponsor agli arrivi delle campionesse, ospitate per un minimo di tre giorni nei migliori alberghi cittadini con camera gratis anche per l’allenatore. «Un servizio che ha alzato il livello del torneo ulteriormente – assicura Paris –. I complimenti ricevuti dagli addetti ai lavori per noi sono stati uno stimolo in più». Per il direttore, nelle febbrili giornate del torneo (proseguite anche dopo per smantellare le strutture) le ore di sonno sono state poche, tanti però gli elogi per il lavoro del suo staff. E già si è all’opera per assicurare anche nel 2026, nel cuore della città, un’altra settimana di grande tennis.
Riproduzione riservata © Giornale di Brescia
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