Sono trascorsi quarant’anni dalla Grande Nevicata del 1985
«Quando scesi dal treno pensai di aver sbagliato fermata. Non riconobbi la città». A ricordare la prima immagine della Grande Nevicata del 1985 è Giovanna Capretti, cronista del Giornale di Brescia, all’epoca studentessa. Tornando verso casa prese contrada del Cavalletto: «Sotto i piedi vedevo spuntare i tettucci delle automobili».
Il suo racconto è simile a quello di tantissimi bresciani e bresciane che tra il 14 e il 15 gennaio del 1985 vissero una di quelle esperienze che vuoi o non vuoi restano nella storia. Dopo una domenica di neve quasi ininterrotta (il 13 gennaio), il lunedì si svegliarono trovando la città e la provincia «sotto una pesante coltre di neve». Così scriveva il Giornale di Brescia, riferendosi ai 23 centimetri caduti che – insieme agli altri che si aggiunsero nelle ore successive – resero l’evento leggendario. Così leggendario che da allora ogni volta che cade qualche fiocco il metro di paragone è sempre quello: «La Grande Nevicata del 1985», in maiuscolo.
La Grande Nevicata
Nei primi giorni di quell’anno un grande gelo aveva colpito la maggior parte dell’Europa. Venerdì 11 gennaio la stazione meteorologica di Ghedi rilevò una minima di -19,4°C, mentre i termometri della città toccarono i -17°C. Le previsioni meteo per domenica 13 ipotizzavano un lieve innalzamento delle temperature e possibili nevicate sul Settentrione (mentre al Meridione la neve era già arrivata). Nessuno poteva però prevedere quella quantità di neve che attutì tutti i rumori ovattando il Nord Italia (meritandosi una canzone di Beppe Donadio e Fabio Concato, nel cui videoclip compare proprio Brescia). E così lunedì – ma soprattutto martedì – Brescia e provincia si trovarono sommerse. Fu infatti il 15 gennaio che si registrò il picco: 103 centimetri di neve (in città).
«Erano anni che non avveniva una nevicata di queste dimensioni», si leggeva sulla prima pagina del Giornale di Brescia di quel martedì 15 gennaio. «Dalla finestra lo spettacolo è stato molto bello, ma i guai sono cominciato subito per chi ha dovuto recarsi al lavoro».
I disagi
La neve continuò a scendere fino al pomeriggio di mercoledì 16 gennaio e con la gioia bambina portò con sé inevitabili disagi, più o meno importanti. A partire dalla stazione centrale di Milano, che dopo i primi giorni rimase bloccata a causa di guasti elettrici dovuti proprio alla neve. Ciò non impedì alla città di ospitare comunque la settimana della moda maschile: quell’anno, scrivevano i giornali, sarebbero andate «giacche ampie e pantaloni comodi», stando alla sfilata di Valentino, che si svolse quindi nella cornice della città imbiancata. Nel resto del Settentrione, e pure da noi, la moda di quei giorni era ben diversa: piumino, jeans e moonboot. Tra le mani, spesso, un badile per spalare più neve possibile.
Tornando a Brescia, dai racconti e dalle immagini del tempo (come quelle prese dagli archivi dell’emittente Teletutto) si vedono per esempio le strade bloccate – che non significa solo traffico in tilt, ma anche impedimenti fatali durante le emergenze – così come le automobili distrutte dai blocchi di neve e i camion ribaltati per strada a causa del ghiaccio. Anche piccoli edifici – come quelli extraurbani in legno o lamiera – crollarono e riportarono danni irreparabili. Idem i capannoni industriali e agricoli.
La situazione era parecchio disagevole: oltre alle strade urbane in tilt, i rifornimenti andavano a rilento, il fondo stradale ghiacciò, le scuole non aprirono (con comunicazioni a singhiozzo) e le tangenziali e le autostrade vennero chiuse. Negli ospedali di Brescia e provincia mancava l’acqua potabile e sanitaria e il personale fu decimato perché impossibilitato a recarsi concretamente al lavoro.
«Quarant’anni di assenza di nevicate massicce hanno indotto ad abbassare la guardia contro un evento meteorologico peraltro sempre ipotizzabile», scrivevano i cronisti il 18 gennaio. Tutto si trascinò peraltro per diversi giorni. Ancora il 17 gennaio il giornale riportava dei danni in provincia a qualche giorno dalla nevicata: se in Valsabbia e Valtrompia la viabilità era difficile (soprattutto a Lumezzane con «il continuo impennarsi delle strade», raccontava il nostro giornale, ammettendo che i triumplini sembravano in generale «reggere con sufficiente disinvoltura l’offensiva insolita della neve»), in diverse zone del Bresciano saltarono anche elettricità, acqua e gas. Capovalle restò isolato per più giorni mentre in Valtenesi crollarono diversi tetti e capannoni. Anche le serre e gli uliveti dell’Alto Garda furono gravemente compromessi e a causa dei crolli nelle aziende agricole della Bassa morirono anche tantissimi animali. Al 18 gennaio si stimò la morte di 240mila polli in conseguenza alla distruzione di 25 edifici di aziende avicole del territorio. E in diversi allevamenti l’acqua degli abbeveratoi degli animali si ghiacciò.
Pure il traffico cittadino si mantenne disagevole per giorni e giorni, con i cumuli di neve che ben presto si annerirono di smog. «L’eccezionale (e sottovalutata) nevicata», come la definì il Giornale di Brescia il 22 gennaio, lasciava in eredità «interminabili code in fila indiana e parcheggi selvaggi» in centro proprio a causa dei cumuli di neve. L’appello che in molti lanciavano in quei giorni era dunque: «Lasciamo le automobili in garage ancora per qualche giorno», anche per consentire ai mezzi la rimozione dei residui di neve. D’altra parte, moltissime persone di quei giorni ricordano proprio le camminate nella neve.
I ricordi

Al di là dei disagi, nella memoria collettiva restano tantissimi ricordi lieti. Molti al lavoro in quei giorni non ci andarono, così come a scuola. Tante persone infilarono scarponi e sci scendendo dalle strade innevate, praticando sci di fondo in pianura e sperimentando lo sci alpinismo sul Monte Orfano. Addirittura, ci fu chi costruì un igloo, come accadde a Nave (a innalzarlo fu Oscar Pederzani).
Si racconta che in città, in viale Duca degli Abruzzi, un benzinaio spalò la neve creando una montagna così alta da attirare diversi ragazzini, che la compattarono formando dei gradini e da cui scesero con bob e slittini. Si racconta delle braccia che bruciavano per le faticose spalate a cui tutti partecipavano. Si raccontano le lunghe camminate nella neve per chilometri e chilometri perché le macchine erano bloccate in garage o senza catene.
E tutti, ma proprio tutti, ricordano almeno uno scivolone sul ghiaccio, ma anche l’inevitabile, estenuante battaglia a palle di neve tra cortili e scivoli dei garage, con le guance arrossate dal calore sotto alle giacche pesanti.
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