Fuori e dentro la fabbrica: i 100 anni di Carlotto Pasini

Famiglia, fabbrica, amici e, nel tempo libero, montagna. Parole semplici dentro la vita complessa e generosamente altruista di Carlotto Pasini che ora, dalla storia raccontata, ci fa scivolare per i cent’anni dalla nascita dell’imprenditore nelle pagine di un bel libro di Luciano Costa dal titolo «100 anni con Carlotto», presentato agli Artigianelli in una serata di sentimenti genuini che allontana dal diffuso spaesamento delle coscienze.
Il teatro degli Artigianelli non era stato scelto a caso, perché in questa scuola Carlotto è cresciuto e si è formato. Spiritualmente e professionalmente.
L’introduzione al volume è del professor Giovanni Bazoli, presidente emerito di Intesa Sanpaolo, in cui sottolinea che «I protagonisti di un’efficienza che ha pochi eguali in Europa non sono soltanto gli imprenditori siderurgici, ma anche tutti i loro collaboratori ... tutti con orgoglio di mestiere e con un singolare modello di coesione sociale».
Il racconto della vita di Carlotto Pasini è un esempio per chi c’è oggi, dopo che, fin da fine anni Sessanta, Feralpi da Odolo cresciuta a Lonato, grazie all’intuizione che lo spazio della campagna, le nascenti grandi vie di comunicazione, la ferrovia (che Carlotto aveva sognato potesse arrivare a Odolo), la maggiore disponibilità di braccia e servizi, avrebbero consentito la crescita dell’azienda, coniugando così, là dove il lago era vicino alla terra, «ferro e alpi».
La vita
Magari senza sapere dove il gruppo sarebbe arrivato, guidato, dopo la scomparsa di Carlotto, il 23 maggio 1983, dalla moglie signora Lidia Camilla Savoldi, affiancata dai figli Maria Giulia, Giuseppe, Giovanni e Cesare con i quali decise che «per nulla al mondo avrebbe rinunciato a guidare la Feralpi». E così è avvenuto.
Una crescita non solo in Italia, ma anche in Europa: a breve verrà inaugurato il secondo treno di laminazione dell’acciaieria tedesca di Riesa, in Sassonia. Chissà cosa direbbe il patriarca di questo nuovo salto in avanti, lui protagonista di un’avventura che – riletta oggi guardando gli inizi – non si può che definire epica, e per altri aspetti leopardiana, considerando che oltre la siepe il signor Carlotto vedeva mercato, lavoro, tecnologia, processi e prodotti.
Ma perché Carlotto? La risposta è «sarò felice se anche tu mi chiamerai Carlotto, che è qualcosa in più di Carlo e molto in più di Carlino, cioè un bel modo di sottolineare che quello chiamato sono proprio io e non uno dei tanti Carlo in circolazione». Più chiari di così. Delle montagne di Carlotto, che le amava, parlano le immagini con gli scatti sulle Alpi – soprattutto – o con il cappello alpino, che dell’alpe è il simbolo più bello.
In teatro
La serata è stata moderata dal professor Maurizio Tira. Luciano Costa ha raccontato Odolo pre e post bellica, ha descritto il signor Carlotto «alpino con l’animo capace di aiutare, senza mai mandare indietro nessuno a mani vuote e con grande disponibilità all’accoglienza» ha paragonato la montagna «fatta di silenzi, fatica e salite insieme» alla vita, dove da soli non si va da nessuna parte, narrando le origini del gruppo.
Dalla Feralpi di ieri a quella di oggi ed ai «tempi diversi» dell’una e dell’altra: da Carlotto a Maria Giulia, Giuseppe, Giovanni e Cesare in cui all’acciaio si affianca l’arte «Perché – la risposta di Giovanni Pasini – un luogo di lavoro deve esser bello» cui si aggiungerà quella del fratello Giuseppe che, parlando di Riesa, ha detto «la voglio colorata perché un’azienda deve esser viva».
La figura di Carlotto, la sua attenzione alla fabbrica dentro e fuori, ha concluso la serata quando è stato ricordato quanto l’imprenditore disse al figlio, ricordando «che quando un tuo dipendente ha un tetto sulla testa viene a lavorare più volentieri» e che se oggi occorre avere attenzione all’ambiente più che un tempo «quell’attenzione Carlotto già l’aveva». Con la persona al centro dentro e fuori la fabbrica.
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