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Cellino: «A Bari Clotet e la squadra hanno subìto la pressione»

Il patron del Brescia: «Basta con gli egoismi, bisogna giocare per la squadra»
  • L'evento per il primo anno del Brescia store di via X Giornate
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L'occasione è l'evento del primo anniversario dello store di via X Giornate dove ad accogliere i tifosi c'erano capitan Bisoli, Cistana, Mangraviti, Van de Looi e Jallow per selfie, autografi e strette di mano. Massimo Cellino arriva quasi in contemporanea con Emilio Del Bono («Il sindaco? Gli ho detto che gli voglio bene, gliene ho sempre voluto. Ma deve venire più spesso alle partite perché quando viene vinciamo») e dopo qualche rendez-vous personale, eccolo concedersi alla stampa.

L'aria è decisamente rilassata e il presidente, con una tartina in mano, sa che è giocoforza partire da quel bruciante 6-2 del San Nicola: «Abbiamo fatto una bella figura di m.... Le troppe aspettative hanno creato troppa pressione sull'allenatore e sui giocatori i quali sono subito rimasti delusi dopo il primo e il secondo gol perché la troppa tensione che avevavmo glieli ha fatti metabolizzare male. Poi uno si immagina una partita e ne esce un'altra, eppure se ci avessero convalidato il gol diAyé, che secondo me era buono, magari vai negli spogliatoi, sistemi quello che c'è da sistemare e la raddrizzi ancora».

Una squadra che sta crescendo

Troppa tensione è la sua analisi personale o la valutazione comune fatta con Clotet? Cellino alza le spalle: «Lo dico io perché lo conosco: il primo ad avere troppa tensione era lui. Ma è una tensione che sentivamo tutti. Pensavamo: "Se vinciamo a Bari e non vince la Reggina...", ma questa è una squadra che sta crescendo e cercare di accelerarne la crescita può crearle dei disturbi psicologici. Ma se guardo la classifica e guardo la squadra con cui stiamo giocando con giocatori adattati - e parte il primo sorriso -. Non si può pretendere un'evoluzione così veloce della squadra da poter determinare un gioco corto in trenta metri a pressione alta: metterci un trequartista e due punte è un modo per combattere la paura e sentirsi forti. Penso che Clotet volesse dare un segnale alla squadra di non aver paura, anche se il problema è ammettere di averla».

Quella forse emersa in un match che però il patron sardo non ha guardato: «Non ho visto la partita e non la voglio vedere. Clotet aveva detto alla vigilia di essere stimolato? Ma lui risponde alle domande che gli fate - secondo sorriso -. Ma un allenatore è un uomo solo, deve esternare sicurezza anche quando non ce l'ha perché il dover esternare insicurezza è controproducente».

«A ottobre la partite più facili»

Sull'ipotesi di un'idea su quella che è la reale dimensione di questa squadra risponde secco: «No. Ve lo dirò a dicembre. Se sono preoccupato per le partite che ci aspettano in ottobre? No, perché sono le più facili. Ho dato il Brescia a Clotet perché è un allenatore innovativo. Altri dopo una sconfitta così avrebbero mandato la squadra in ritiro tre giorni, lui gli ha dato un giorno di riposo in più.  Un allenatore, se non è anche psicologo, non può fare l'allenatore. E Pep lo è. Ed è uno che rispetta molto i giocatori, chiede molto a se stesso e legge nella mente e nel cuore dei ragazzi. E gli vuole bene. Forse troppo. Ma non sono preoccupato per le prossime sfide, anzi non vedo l'ora: io in B ho più paura del Sudtirol che del Genoa perché sono quelle squadre che hanno meno da perdere e giocano per il risultato. Noi invece giochiamo più per la bellezza del calcio e per vincere la partita rispetto ad altri che giocano per non perderla».

I fantasmi del passato

Sul perché a Bari ci siano 25mila spettatori e a Brescia 7mila, è laconico: «Brescia deve maturare come la squadra. Anche se intanto, prima di tutto, dobbiamo dare noi qualcosa ai tifosi prima di chiederlo. Purtroppo, visto il passato, andiamo allo stadio più con la paura di perdere che con l'entusiasmo di vincere e appena ci va male una partita, vediamo subito i fantasmi di quel passato. Ecco perché io e Pep continuiamo a dire che vogliamo salvarci per evitare contraccolpi emotivi: sento parlare i miei colleghi e tutti vogliono andare in serie A. Tutti e 20. Sennò come si spiegano tutti questi cambi di panchina dopo poche giornate? Vogliono andare tutti in serie A! Noi non ci vogliamo andare, noi vogliamo salvarci - il terzo sorriso è sornione -. E lo vogliamo fare pasando prima dal gioco che dalle vittorie».

Pensare alla squadra

Poi, arriva la picconata celliniana: «Basta con gli egoismi personali! C'è troppa gente che pensa alla moglie che partorisce, alla moglie in Polonia o in Repubblica Ceca, chi allo zio, al contratto, chi tira e non passa la palla, che la passa e non tira.. Gli egoismi personali ci portano al baratro. Tiratina d'orecchie? Sì, per tutti. Io per primo, da presidente, non do l'esempio di essere egoista. Si gioca per la squadra, non per se stessi: quelli che giocano per se stessi sono quelli che non vincono nulla. Ho visto in settimana la preoccupazione dello sciopero aereo per il viaggio di ritorno: ma pensiamo a portare via un risultato positivo che poi da Bari torniamo anche a piedi!».

La chiosa è un voltare pagina: «Pep, vedendo un po' di tensione e disattenzione in settimana, ha cercato di dare un input molto garibaldino alla squadra per evitare di trasmettere paura e di fare la fine che fece Inzaghi l'anno scorso col Pisa. Ma in fondo, abbiamo 15 punti, uno in più della media promozione e siamo qui a pensare ai sei gol presi a Bari? Figuraccia, vero, ma pare quasi che questa sconfitta ci precluderà la possibilità di andare in serie A! E invece magari ci aiuterà ad andarci...».

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