Adama Sanneh: «La creatività è il motore per un cambiamento sociale»
Un ragazzo che ha sfidato i pregiudizi culturali e la solitudine è diventato un imprenditore di fama internazionale. Adama Sanneh è cresciuto negli anni Ottanta a Brescia con un papà senegalese e una mamma italiana: essere l’unico ragazzo nero a scuola in un’epoca in cui non c’era ancora un linguaggio per raccontare la diversità culturale non è stato facile. Poi però qualcosa è cambiato: la sua identità è diventata motivo di orgoglio.
Lo studio dell’antropologia e la scoperta dell’hip hop e del basket, durante gli anni universitari, lo hanno salvato. Da allora la creatività è diventata il motore della sua vita. Laureato in Mediazione linguistica e culturale all’Università degli Studi di Milano, il bresciano ha lavorato per diversi anni in Africa nell’ambito dell’emergenza umanitaria. Dopo il master, prima in Public Management alla Bocconi School of Management, e poi in Business Administration (MBA) all’Università di Ginevra, è diventato co-fondatore e ceo della Moleskine Foundation.
Tra le sue esperienze, ha lavorato per le Nazioni Unite, nell’ambito del progetto Ompi, l’Organizzazione mondiale per la proprietà intellettuale. Una carriera di successi che è stata recentemente riconosciuta con il premio Alumnus Changemaker alla Bocconi di Milano, assegnato a chi – attraverso la propria attività professionale – contribuisce concretamente al cambiamento sociale.

È la prima persona ad aver vinto questo premio. Cosa rappresenta per lei?
«È stato un grande onore e anche una grande responsabilità. I premi sono sempre qualcosa di particolare. Il loro valore sta nel momento di riflessione che ti concedono: ti permettono di fermarti e pensare a tutte le persone che ti hanno aiutato ad arrivare lì».
Cosa significa oggi essere al tempo stesso africani ed europei?
«Significa essere consapevoli e lavorare per i diritti civili delle persone con background migratorio, che ancora oggi vengono messi in discussione. Io ho avuto la fortuna di nascere italiano, ma tanti miei coetanei, pur parlando italiano e vivendo qui, non sono riconosciuti come tali. È un grande paradosso, ma anche una perdita per il Paese. Serve un linguaggio nuovo, capace di raccontare ciò che siamo oggi».
L’essere cresciuto a Brescia le ha dato qualche vantaggio di prospettiva o motivazione?
«Brescia è un luogo a cui sono molto legato. È dove ho vissuto, per la prima volta, una vera comunità internazionale. Nonostante le mie difficoltà in questa città qualcosa si muoveva: il contesto stava diventando multiculturale più che altrove. Io stesso da bambino avevo molti amici con origini miste. Questo mi ha dato un senso di comfort inconscio. Ho ancora cugine e zii che ci abitano. E sono molto orgoglioso di mio zio Idris Sanneh, che da Bedizzole è diventato uno dei primi volti afrodiscendenti noti in televisione».
Il cambiamento sociale è centrale nel suo lavoro. In che modo la creatività può essere un motore di trasformazione?
«Viviamo nell’era della creatività. Ciò che impariamo oggi è già obsoleto domani. Come diceva Alvin Toffler, la caratteristica fondamentale del nostro tempo è la capacità di imparare, disimparare e reimparare continuamente. E le competenze che permettono di farlo sono proprio le abilità creative».
Pensa che qualche progetto possa svilupparsi anche a Brescia?
«Il Creativity Pioneers Fund è un progetto globale a cui attualmente lavoro. Si tratta di un fondo filantropico in cui l’obiettivo è sostenere i pionieri creativi che attraverso cultura e creatività affrontano le grandi sfide del mondo: dal cambiamento climatico alla giustizia di genere, fino alla democrazia. Ogni anno, a marzo, lanciamo una call pubblica per individuare nuovi changemakers. Sarebbe bello se più realtà bresciane partecipassero».
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