Il Brescia e quell’autostima che viene meno nei momenti clou

Sì al fastidio, no al pessimismo. Inutile nasconderselo o girarci intorno: la sconfitta contro il Pisa è stata disorientante. Il giorno dopo esattamente come il giorno prima. Non certo perché non si possa uscire vinti da un duello diretto, ma semmai per quell’amarissima sensazione di aver perso quasi ancora prima di giocarsela. O di non giocarsela. Perché questo, ahinoi, è stato. E ora - con spirito critico costruttivo - va capito che cosa sia successo e come mai, intanto che c’è ancora tutto il tempo per poter intervenire a tutti i livelli.
Il Brescia s’è incriccato sul più bello: ma in questa stagione, nell’arco di sole 14 partite non è stata la prima volta. Bensì la terza. Ogni partita è storia a sé e sarebbe forse persino comodo liquidare il ko di sabato al Rigamonti come il frutto di una infelice giornata in cui è incappato Pippo Inzaghi tanto nelle scelte iniziali quanto nella gestione della partita, o in cui sono a loro volta incappati i suoi giocatori con tanti singoli onestamente pure sotto ritmo, al di là della sensazione di uno spirito intriso di una inspiegabile paura.
Quella che il Brescia non aveva mai avuto - anzi - nei precedenti scontri diretti e addirittura, la più bella prestazione di allenatore e squadra, per interpretazione e continuità, è stata quella contro il Benevento che non a caso dopo la sconfitta con le rondinelle cadde in crisi. Quella vittoria, a coronamento del successo e del pari con Cremonese e Lecce mise il turbo all’entusiasmo con l’attesa prova del nove contro il Pordenone: vedemmo un Brescia molto molto tirato, prosciugato mentalmente da un tour de force estremo, ma in ogni caso vincente.
Poi la sosta, quindi l’appuntamento da non fallire di Vicenza per consolidare la leadership ormai raggiunta: con i denti, con le unghie, con la fortuna, con la qualità e anche in quel caso le rondinelle sbancarono. Prendendo il volo e preparandosi dunque al meglio da un punto di vista mentale al netto delle problematiche emerse e di prestazioni non brillanti sulle quali intervenire, alla resa dei conti col Pisa. Uno scontro diretto, pane per i denti degli Inzaghi’s.
E invece... Dopo tre vittorie di fila, è stato come se tecnico e giocatori avessero pensato di non valere tutto quel che loro, solo loro, avevano costruito in 13 partite fallendo una clamorosa chance di giocarsela per un +5 sulle terze rendendo vita troppo facile, tatticamente come fisicamente, a un Pisa buono ma tutto sommato normale. Perché il tecnico ha ritenuto di snaturare la sua squadra? Aveva forse colto qualche segnale in settimana? «Volevo solo il palleggio» ha liquidato il tema tattico l’allenatore, ma resta che poi sul campo è mancata a tutti la forza di reagire a un piano gara apparso da subito inefficace.
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Ma appunto era già successo prima al Brescia di mancare le prime occasioni di saltino: dopo tre vittorie di fila all’inizio, la squadra si fece rimontare sempre in casa dal 2-0 al 2-2 da un Crotone volenteroso, ma assai modesto e oggi languente sul fondo classifica: con quella vittoria il Brescia sarebbe andato dopo 4 giornate a + 3 sulla terza. Il tempo di riaversi con i 4 preziosi punti tra Frosinone e Ascoli e tac: nuova occasione per consolidarsi contro un Como «ai tempi» ancora in cerca di se stesso: harakiri 2-4 (ma almeno il Brescia in quella circostanza peccò di convinzione di poterla andare a vincere dopo averla ripresa in extremis e venne punito da poco lucide scelte finali) pesante come un macigno da smaltire e due settimane di stop non servirono per arrivare a Perugia resettati. E la partita del «Curi», per pochezza del Brescia, è venuta alla mente proprio sabato.
Tra Perugia e il Pisa, ecco arrivare la sentenza che si rinnova: questa squadra non può permettersi di pensare solo a difendere. Perché non lo sa fare e quanto alla tentazione di difesa a tre, la mente corre all’ancor fresca breve era di Davide Dionigi: fu un fallimento. Tattica a parte, adesso va capito se, alla luce degli episodi e delle dinamiche che abbiamo ricostruito, esista un problema di autostima ancora da cementare. Chi pare pensarla così è Massimo Cellino che negli inediti (apprezzabili) panni del pompiere ha parlato della necessità «di credere di più in noi stessi».

Anche perché il supporto esterno non manca e la voglia di sostenere allenatore e squadra nemmeno. Di sicuro, abbiamo capito che la strada è ancora lunga, che non si possono accorciare i tempi di apprendimento, che allenatore e giocatori hanno bisogno di sbagliare e crescere insieme. C’è poi ancora bisogno di risolvere anche questioni relative al vero ruolo di alcuni giocatori, di capire la reale portata di altri, decriptare le difficoltà di altri ancora (i Bajic, i Van de Looi), di arrivare a tirare le somme anche in vista di gennaio perché qualcosa andrà fatto tra il liberare qualche posto lasciando andare giocatori non funzionali (lo dicono le scelte settimanali, ci sono giocatori con minutaggi extra, vedi i Pajac e i Palacio) per cedere il passo ad altri, specie a centrocampo, che possano aiutare a fare sintesi tra le due anime del Brescia: quella paurosa e quella garibaldina che s’è persa per strada nonostante anche Inzaghi dichiarasse che questa squadra era nata per attaccare.
Qualcosa va fatto, a tutti i livelli: ma nel frattempo qualcosa si può già (ri)fare ritrovando il meglio di sé, che non è poco. È stata persa una battaglia, non la guerra e il riposizionamento parte pur sempre dal secondo posto.
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