Vent’anni senza Mero: il ricordo della moglie e del figlio

Gli occhi di Monica e Alessandro brillano che solo a guardarli ti emozioni. Perché per loro, soprattutto per loro, il 23 gennaio non sarà mai una data come le altre. Vent’anni fa, era il 2002, Monica e Alessandro hanno perso il marito e il papà, Vittorio Mero, in un tragico incidente.
Ogni tifoso del Brescia, di qualsiasi età, ha stampati nella memoria quei momenti: le rondinelle attese a Parma in Coppa Italia, lo Sceriffo (così era per tutti) che si allena a Coccaglio e prende l’autostrada per tornare a casa, l’incidente e il tagico epilogo.
«Sono passati 20 anni e non mi sembra - dice oggi Monica, mentre Alessandro la osserva e ascolta -. In particolar modo ogni anno quando arriva il 23 gennaio si apre la mente, si spalanca quel cassetto dei ricordi che in realtà non si è mai chiuso. Ho vicino Alessandro che ha quasi 22 anni, allora ne aveva appena fatti due, è cresciuto e mi dà il senso del tempo. Ma ogni volta che guardo lui rivedo Vito ed è una sensazione comunque bellissima». Monica però, dentro di sé, ha ancora i ricordi di quel maledetto 23 gennaio.
«Il silenzio, il vuoto è come se in un secondo si fosse spento il mondo. La prima persona a chiamarmi fu suo il procuratore Vanni Puzzolo, che mi chiese se Vittorio era già tornato a casa dall’allenamento. Ciò mi sembrò strano e riattaccai chiedendomi il perché di quella telefonata. Forse il cellulare non prende, pensai. Poi mi chiamò don Claudio Paganini, quindi quelli del 118 mi chiesero se ero in casa da sola. Con me c’era Alessandro, ma a quel punto capii che era successo qualcosa di grave, gravissimo. Lì iniziò ad essere davvero dura. E poi la gente a casa e tutto il resto».
Fino al giorno del funerale. «Io ho l’immagine di quando arrivammo in piazza Paolo VI, mai vista così tanta gente e solo a raccontarlo ora ho ancora i brividi. Un conto se vai allo stadio, hai la percezione dello spazio e degli spalti. Ma in quel giorno c’erano migliaia e migliaia di bresciani in piazza, nelle vie, appiccicati l’uno all’altro per gridare al cielo il nome di Vittorio... Mi sembra di sentire oggi quei cori, rivivo ogni emozione».
Un affetto che è palpabile anche oggi... «Gli ultras ricordano sempre Vittorio e credo che in questi 20 anni non ci sia stata una sola partita senza un coro per lui. Questo dimostra l’attaccamento e quanto bene gli vogliano ancora oggi. È un sentimento enorme, un messaggio impagabile, potessi abbracciare tutti i tifosi lo farei». Perché il rapporto con Brescia resta fortissimo. «Brescia è la città che mi è rimasta chiaramente nel cuore e così sempre sarà. Vittorio era amato da tutti, ma entrambi ci siamo sentiti benissimo, coccolati e accolti a braccia aperte. Ogni tanto sento il bisogno e il piacere di rivedere persone con le quali ho stretto un rapporto fortissimo tra cui Alfonso, il titolare del ristorante La Valle: è ancora oggi una persona a noi molto molto vicina».
Il cuore
Persone, luoghi, che Alessandro ha iniziato a conoscere col tempo. Oggi studia giurisprudenza, fa il deejay e con grande successo nei locali della riviera romagnola e non solo. La musica nel Dna come il padre che adorava ballare in pista anche se era vuota. «Sono sincero però - dice - non mi ricordo sua la voce e il sorriso», anche se a guardarlo il rimando a Vittorio è immediato per quanto gli assomigli.
«Purtroppo ero troppo piccolo quando è avvenuto l’incidente. Uno dei flash più forti che ho è una fotografia stampata in grande nella casa vecchia, quella di mamma e papà che si baciano in vacanza. La percezione di quanto era accaduto ho iniziato ad averla alle elementari. Le persone mi chiedevano "cosa fa il tuo papà" e io rispondevo "io non ce l’ho il papà". E ho iniziato ad avvertire la sua mancanza». Poi, inevitabilmente, il calcio, entrato nella vita di Alessandro quasi subito. «Ho avuto un rapporto forte fino a qualche tempo fa, ci ho giocato per anni, trequartista o ala sinistra, quindi qualche metro più avanti di lui. Poi ho fatto nuoto.

Lo seguivo molto, è sempre stato un anello di congiunzione fondamentale tra me e papà. Ora preferisco andare in palestra, non sono più presissimo come prima, ma restano la passione e il tifo per la Juventus. Rimane uno sport che mi incuriosisce». Così come lo hanno sempre incuriosito le immagini di papà Vittorio in campo. «Ho visto non so quante volte il gol contro la Reggina al Rigamonti, lui che prende la palla in fondo alla rete e si bacia la fede tornando verso centrocampo». Ieri tra l’altro è stata per lui la prima volta al Rigamonti. Segno del destino il Brescia contro la Ternana, un’altra delle squadre di Mero.
«Emozione? Sì, ho sentito i brividi sapendo che mio padre ha giocato lì, perché so che un tempo Brescia è stata casa mia e in fondo ancora lo è. Ho la percezione che la passione del calcio lui me l’abbia in qualche modo trasmessa e mi è sempre arrivata. C’è riuscito pur non essendo presente».
Un vuoto, una mancanza, colmati da mamma Monica. «Lei è stata la figura di riferimento sia maschile sia femminile. Ce l’ha sempre messa tutta per non farmi mancare nulla, senza tenermi nascosto quello che successo, ma ponendo ogni volta le situazioni nel modo giusta. Non mi ha mai detto "quando c’era tuo papà era così". Mi ha sempre fatto percepire la sua assenza in maniera positiva. E qualsiasi persona incontro ancora oggi per strada e sa che sono il figlio di Vittorio mi dice solo una frase: tuo padre era fantastico, l’emblema della simpatia».
Andare avanti
È stato quello che Monica e Alessandro hanno fatto. Tenendosi per mano, sostenendosi, senza dimenticare, anche perché vivono in una città come Ravenna che a Vittorio ha dedicato la curva di casa dello stadio.
«A chi mi chiede se è difficile rifarsi una vita - riflette Monica - dico non solo di sì ma anche che lo è ancora. Perché non ho mai avuto bisogno di dimenticare. Non sono una donna separata, né divorziata, ti porti sempre dentro l’affetto profondo per una persona che nel mio caso ha lasciato un figlio meraviglioso come Alessandro. Ma mi rendo conto di come per noi ci sia una parte di vita che si è spezzata, ma che fondamentalmente resta lì. Ricominciare non è stato facile, il dolore era forte e fare da padre e da madre ad Alessandro è stata dura, lo ammetto.
Oggi ho un compagno a cui voglio molto bene, ha avuto un ruolo importante anche per mio figlio, però c’è sempre quel filo che ci lega a Vittorio. E non voglio dimenticare perché la mancanza resta: penso al suo carattere, al suo sorriso, alla sua gioia di vivere. Il ricordo più vivo che ho è proprio la sua allegria».
Il primo aspetto che Monica colse nel ’95, in palestra, quando lei e Vittorio si conobbero. «Mi avvicinò, dopo avermi sentito parlare alla reception perché cercavo di cambiare i soldi per telefonare. Allora non avevo ancora il telefonino. Mi disse "se vuoi vai nella mia auto e nel cassettino tra i due sedili puoi trovare un sacco di monete". Lo ringraziai, ridemmo entrambi, ma nonostante il gesto carino declinai, non conoscendolo. Poi però ci rivedemmo sempre in palestra, prendemmo un caffè, da lì la cioccolata in tazza che lui adorava, poi l’aperitivo e poi tutto si trasformò in qualcosa in più di una conoscenza tra due ragazzi».
Un progetto di vita insieme, un rapporto vero, un figlio, la consapevolezza per Monica che Vittorio, nella vita da calciatore, avrebbe potuto portare la famiglia in giro per l’Italia, «anche se pensavamo che Brescia sarebbe potuto diventare il nostro approdo definitivo». Quella Brescia che oggi alle 16.30 grazie all’impegno di don Claudio Paganini lo ricorderà con una Messa nella chiesa di Sant’Afra.
«Per me sarà una grande emozione - conclude Monica - perchè ancora oggi una delle cose più difficli resta l’accettare la mancanza di Vittorio, soprattutto per Alessandro. Spesso mi chiedo se lui fosse qua come sarebbe il loro rapporto e questo mi manca molto». Sarebbe orgoglioso di un ragazzone di 22 anni e di come la mamma ha saputo «trasmettergli» il suo papà.
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