Calcio

Union, il manifesto di Balestrero: «Sacrificio, dedizione, appartenenza»

Il capitano ha la fascia cucita addosso: «Faremo tutto per restituire ciò che ora una provincia intera s’aspetta da noi»
Balestrero durante l'amichevole Union Brescia-Ospitaletto - Foto New Reporter Comincini © www.giornaledibrescia.it
Balestrero durante l'amichevole Union Brescia-Ospitaletto - Foto New Reporter Comincini © www.giornaledibrescia.it
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«Ehi Bale». «Ohi Bale». «Dov’è Bale?». Dimmi chi è il capitano del Brescia, senza dirmi chi è il capitano dell’Union Brescia. Tutti lo cercano, tutti lo seguono: Davide Balestrero ha la fascia da «cap» cucita addosso. Taglio sartoriale. E a vedere, a osservare, quanto il centrocampista all’occorrenza difensore sia l’ombelico della squadra e a percepire quanto sia stimato dalle altre componenti del club, viene da chiedersi come sarebbe andata se ci fosse stato da spartire lo spazio da leader con Dimitri Bisoli. Viene da rispondersi che comunque sarebbe andata bene. Proprio perché «Bale» non è solo un capitano, ma è anima. E l’anima sa leggere momenti e situazioni. Avrebbe saputo anteporre a tutto il bene comune: la sua leadership avrebbe acquisito addirittura altri punti. Proprio per questo il rispetto nei suoi confronti nasce al primo approccio, di pelle.

E infatti: «Tu sei il capitano del Brescia». Glielo hanno detto i tifosi sabato pomeriggio, a margine dell’amichevole con l’Ospitaletto.

È stata come una investitura ufficiale: «Sono state poche e semplici parole – dice Davide –, ma che mi hanno trasmesso moltissimo. Essere capitano di una squadra è già di per sé gratificante come per me lo era esserlo per la FeralpiSalò. Ma questo è indubbiamente uno step in più. La voglia però ora è quella di farmi e farci conoscere sul campo. Sento forte la responsabilità di rappresentare una città e una tifoseria che vive carnalmente la sua passione. Io arrivo da una città calcisticamente calda come Genova, io da sponda Samp: so cosa significa quando un tifoso si identifica nella sua squadra e quindi so cosa vuole dai suoi giocatori».

Carica a mille, ma c’è un’ombra sul volto di Balestrero: «Anche i miei compagni ed io siamo rimasti molto colpiti dalla tragedia di Matthias Verreth e ci teniamo molto a fargli arrivare la nostra sincera vicinanza per il dramma che lui e la sua famiglia stanno vivendo».

Messo faticosamente da parte il momento di commozione, si riprende il filo di una chiacchierata che cade alla fine di un ritiro che è stato diverso eppure uguale a tanti altri del passato.

Come è possibile?

«Lo è stato perché ci siamo totalmente concentrati sul lavoro ed ha aiutato il fatto di essere partiti con lo stesso staff. È ovvio però che il clima che abbiamo respirato nelle prime due amichevoli sia stato piacevole e non ci abbia lasciato indifferenti».

Chi meglio di lei, fedelissimo dell’ex FeralpiSalò ci può dire cosa significhi questo non essere rimasti indifferenti?

«Inutile negare che si sia percepita tanta emozione, a partire dalla cerimonia in Loggia. Io ero presente: ho percepito felicità, entusiasmo. E questo è arrivato anche alla squadra. Poi è ovvio che inizi a lavorare e cerchi di lasciar fuori tutto il resto... Ma è certo che ci siamo resi conto che la maglia è cambiata, il peso anche perché rispondiamo a una provincia. Non è cambiata però quella che è la professionalità che ci ha sempre contraddistinto.

Se le diciamo che la cosa che ha maggiormente colpito tutti coloro che hanno visto le vostre prime due uscite è la mentalità già molto formata?

«Dico che fa molto piacere che questo aspetto sia stato notato. Abbiamo la fortuna di essere tanti insieme da un po’ di anno. Nello spogliatoio abbiamo sviluppato un forte senso di appartenenza, dedizione al lavoro e spirito di sacrificio che negli anni difficilmente avevo trovato. Quando sono arrivato tutto questo è stato trasmesso a me e insieme agli altri ora cerchiamo di tramandare il tutto a chi man mano arriva».

Ora dovete aggiungere al vostro bagaglio anche altri valori: quelli figli della storia del Brescia. La state studiando?

«Nello staff tecnico e ora anche in quello dirigenziale (Edoardo Piovani, ndr) abbiamo figure molto importanti anche su questo fronte. Qui in ritiro la sera ci siamo fermati spesso a chiedere aneddoti, dinamiche e cose successe negli anni. Molte cose le abbiamo apprese, altre le apprenderemo, ma poter lavorare con persone che il Brescia ce l’hanno nel sangue anche per nascita è un bene prezioso che vogliamo sfruttare al meglio».

A proposito di storia. Il Brescia ha avuto fior di capitani come Caracciolo, Possanzini, Zambelli e in ultimo Bisoli...

«Nomi incredibili. Riuscire a fare solo un decimo di ciò che hanno fatto loro sarebbe già un successo. Ma non vanno nemmeno fatti paragoni perché ci sono anche parametri di base diversi. Quanto a Bisoli siamo sicuramente molto simili non solo per ruolo, ma perché anche lui dà l’anima e vive ogni partita come fosse l’ultima trascinando tutti. Il suo atteggiamento ha conquistato: spero che riesca anche a me, ma anche ai miei compagni: nessuno di noi si accontenta mai, vogliamo sempre dimostrare di poter ambire a un livello superiore».

Come accoglie un nuovo che arriva?

«Dico solo "benvenuto"».

Ma avrà dei comandamenti...

«Semmai ci sono dei principi che ci hanno trasmesso altri capitani come Guidetti, Guerra o Legati. In generale siamo un gruppo elastico. E ci mettiamo tutti a disposizione».

A proposito: spesso le viene chiesto di giocare da difensore e addirittura per un momento si è pensato di arretrarla definitivamente...

«Il mister sa benissimo che su di me può contare. Ovvio che siano due ruoli differenti. Io sono centrocampista con doti offensive e di inserimento e col gioco di Diana c’è spesso la possibilità di andare vicino alla porta... Può capitare anche da braccetto però serve un equilibrio diverso e infatti spesso Pasini mi richiama... Ma insomma: dove serve, ci sono».

Il gioco di Diana: è anche un po’ naif, nel senso che vi dà libertà di pensiero.

«È vero, è un calcio che deve essere compreso. Noi lo scorso anno siamo stati bravi a farlo. È un calcio che responsabilizza: dentro un perimetro di principi, il mister ci allena a trovare la soluzione migliore in base a quel che viviamo sul campo. Vuol dire anche prendersi la responsabilità di sbagliare. È un calcio molto stimolante».

Il progetto è triennale, ma tra di voi parlate di serie B da provare a prendere subito?

«Quello che ci diciamo lo teniamo per noi, nello spogliatoio. È ovvio che siamo tutti ambiziosi e che faremo il massimo possibile».

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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