Calcio

Cellino, cinque anni di Brescia in altalena: «Tornassi indietro non rientrerei in Italia»

A tu per tu col presidente del club di via Solferino, che ha ammesso: «Soffro per i miei guai ma farò mercato per Pep»
Massimo Cellino il giorno della sua presentazione ad agosto 2017 - Foto New Reporter Zanardelli © www.giornaledibrescia.it
Massimo Cellino il giorno della sua presentazione ad agosto 2017 - Foto New Reporter Zanardelli © www.giornaledibrescia.it
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Cinque anni. Così intensi, così in giostra, da sembrare almeno il triplo. Dal 10 agosto del 2017 il Brescia ha cambiato pelle e volto diventando, nel bene e nel male, la personificazione di Massimo Cellino che un lustro fa come oggi raccolse il testimone del club dall’imprenditore bresciano Marco Bonometti, insieme salvatore e traghettatore della società che era sulla soglia della sopravvivenza.

In cinque anni ne sono accadute di tutti i colori: c’è una società totalmente risanata nei conti e nelle finanze, ma per contro, a forza di turbolenze d’ogni tipo è mancato il salto di qualità sul versante sportivo. E giunti al punto di cinque anni solari - con 4 stagioni complete - a firma dell’imprenditore sardo, finito in una tempesta giudiziaria, dove e come collocare il «progetto Brescia»?

La stretta di mano tra Cellino e Marco Bonometti nel 2017 - La stretta di mano tra Cellino e Marco Bonometti nel 2017
La stretta di mano tra Cellino e Marco Bonometti nel 2017 - La stretta di mano tra Cellino e Marco Bonometti nel 2017

Si sta per aprire una stagione a fari spenti, eppure a suo modo intrigante, da affrontare con una squadra costruita in low cost dentro un’ottica di sostenibilità. Obiettivi e pressione abbassati ai minimi con la speranza di una resa massima dentro una quotidianità che sul fronte sportivo procede come nulla fosse e senza scossoni - l’impatto stagionale con il Pisa ha testimoniato la serenità di gruppo e staff - mentre è chiaro che i guai personali di Cellino rappresentino un turbamento anche emotivo di fondo: si naviga a vista in una situazione in evoluzione.

E intanto scorre il film delle mille facce passate di qui tra panchina e scrivania, le andate e i ritorni, i litigi e le ricomposizioni, una promozione in carrozza, una retrocessione ingloriosa e un nuovo salto sfumato di un soffio. E poi l’ascesa di Tonali, il flop di Balotelli. Eccetera eccetera eccetera.

Presidente Cellino, sono cinque anni di Brescia...

«In questo momento mi pare solo di vivere in un incubo: non mi capacito di quello che mi sta accadendo. Non sono un delinquente».

Partiamo allora da qui: dopo la sentenza del Riesame lei rassicurò i tifosi bresciani. Può confermare le rassicurazioni?

«Sì. La vicenda è inusuale e anomala, ma non ha a che fare con i conti di una società che è sana. Poi bisognerà vedere il mio stato d’animo perché mi sento ingiustamente penalizzato... Ma il mio dovere però è di gestire per il meglio».

Si sente destabilizzato?

«Non è che stabile io mi ci sia mai sentito... Però oggi provo vergogna».

Nel momento del bisogno chiede una mano alla città: lei però questa mano non sempre l’ha tesa: spesso ha creato distanza e freddezza...

«Purtroppo io mi sento responsabile degli umori della piazza quando si vince e quando si perde e tendo a rendermi impermeabile per restare più lucido possibile, perché so che in ballo ci sono sentimenti. E allora finisce che passo per ciò che non mi sento di essere ovvero un arido senza emozioni. Ora dico: state vicini alla squadra che è la vostra, non la mia. Fate che i ragazzi siano portavoce del vostro orgoglio e non della tristezza di Cellino. Hanno bisogno di qualcuno per cui combattere. Intanto comunque dico grazie a chi crede in noi per gli abbonamenti e sono commosso da tutti gli sponsor che hanno confermato il loro impegno».

Riesce a pensare al calcio?

«Devo farlo. Per i miei collaboratori, per la mia squadra e per la gente ho il dovere di reagire».

Quando lei si insediò disse che voleva togliere questa piazza dalla mediocrità... A che punto si sente in questo suo intento?

«Finanziariamente e dal punto di vista di ciò che abbiamo costruito, mi riferisco anche al centro sportivo che è anche più importante di uno stadio, credo di esserci riuscito. So che i tifosi in generale pur di voler vincere preferirebbero avere chi spende e magari di mestiere fa il trafficante di schiavi... Ma la stabilità economica è troppo importante e conta dare un valore. Io ho fatto tutto in quella direzione. I bresciani si devono poi rendere conto delle loro enormi potenzialità. Certo, manca il consolidamento sportivo nei risultati».

Perché è mancato?

«Non sono riuscito a mantenere la A il primo anno. È stata inaspettata, era troppo presto e io gestivo tutto da Londra dove allora vivevo. Ero troppo lontano e ho perso il controllo anche perché nel frattempo ero rimasto senza Marroccu. Poi c’è stato il Covid che ha cambiato il mondo: personalmente ho subito moltissimo la situazione. Aver vissuto il tutto qui, dove oltretutto il male ha colpito duro, mi ha molto segnato».

Se si guarda alle spalle, delle cose fatte sportivamente in questi 5 anni cosa non rifarebbe e di cosa invece è fiero?

«Non riprenderei Balotelli. Non era una operazione da me: mi ero forzato a farla perché mi sembrava fisiologicamente giusto. Era quasi una favola. Ma non mi apparteneva. Poi fu un errore mandare via Marroccu dopo la promozione, ma anche riprenderlo lo scorso anno. Dissi che senza di lui non potevo fare calcio? Mi ero posto in maniera umile, mi ero autoconvinto fosse così perché mi ero preso tutte le colpe, anche quelle non mie. Di cosa sono più fiero? Dell’aver creduto in Tonali».

E non è un rammarico averlo venduto a meno di un terzo e più del suo valore?

«La cessione è avvenuta in un momento storico particolare con la pandemia e inoltre sono contento di aver assecondato il giocatore al quale mi sento legato. A tal proposito anche l’aver parlato a quei tempi del tesoretto che avrei potuto ricavare, dei soldi che avrei potuto fare con lui non mi ha giovato: si pensava che volessi arricchirmi personalmente, mi sono attirato invidie».

La famosa clausola anti esonero di Inzaghi non fu un errore?

«Non ci pensavo seriamente perché io un allenatore vorrei sempre tenerlo 20 anni. Il fatto è che quella clausola non poteva essere sul serio inserita in un contratto: l’errore fu di chi la accettò al deposito».

Ma quale era il suo piano inziale?

«Portare il Brescia in serie A, lasciarcelo stabilmente, poi vendere e comprare un altro club in Inghilterra per tornare là a vivere. Fino a prima del Covid andavo in quella direzione poi è cambiato tutto e ho anche capito che devo restare».

Oggi riesce a provare gioia per qualcosa calcisticamente parlando?

«Sono felice che ci sia Clotet con me. È tornato perché ci ha scelti dopo che l’altra volta gli dissero che avrei venduto tutti. Per me Pep è una garanzia e più che un allenatore rappresenta una filosofia. È un innovatore e abbiamo bisogno di innovare per crescere. Questo non è un punto di partenza, ma di arrivo. Clotet e tutti i collaboratori mi sono anche vicini emotivamente: persino troppo. Poi mi danno gioia le storie come quella di Patrick: questa deve essere la nostra missione».

Quanto è stato soddisfatto per la prova di Coppa Italia?

«Moltissimo per la prestazione mentre non mi interessava il risultato. Ora cercherò di completare la squadra».

Ma è nelle condizioni di poter fare mercato?

«Potrei direi di no nascondendomi dietro il sequestro, ma non sarebbe la verità. Posso farlo e cercherò di farlo, tutto commisurato alla linea che abbiamo scelto di seguire quest’anno. Non nego che non ci siano problemi perché sull’esterno qualcuno pensa che il Brescia sia in difficoltà... Ma faremo il necessario».

Predica pazienza per la squadra: lei però saprà averla?

«Mi dico di sì. Quindi spero di averla come credo».

Lei rifiuta la tecnologia, vuole pochi giocatori in panchina, detesta i cinque cambi, crea bufere: il suo calcio non è anacronistico?

«Forse. Ma io conosco solo un calcio semplice ed essenziale legato ai valori in cui io credo e che fondano sulla correttezza gestionale senza barare. Purtroppo invece ormai questo è un mondo in cui è stato promosso chi non aveva i requisiti e chi ha 200 milioni di debiti fa contratti ricchissimi ai giocatori. Mentre io che sono in regola devo tribulare. È giusto? Potrei mettermi anche io a spendere senza pensarci a maggior ragione ora fregandomene di tutto: ma non fa per me».

Lei in questo momento è attaccabile: si presentasse qualcuno a chiederle quanto costa il club, venderebbe?

«No. Sarebbe come scappare. E io non scappo. Ogni tanto sento che potrebbero esserci gruppi o persone "appostate" in attesa di vedere cosa mi accade, ma io non credo sia così. Inoltre solo a parlare di cessione esporrei la società a un tiro al bersaglio».

Si è pentito di aver comprato il Brescia?

«Mi sono pentito di essere tornato in Italia, questo sì».

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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