Brescia, come l'arrivo di un colpo di vento sulla cappa

Ci risiamo. E per la diciottesima volta. Ogni avvicendamento ha ovviamente vita propria, negli ultimi 22 anni ad esempio un motivo c’è sempre stato per arrivare all’esonero, fatta eccezione (lo pensai allora, lo penso oggi, lo penserò sempre) quando una domenica piovosa di marzo del 2006 Gino Corioni decise che Maran non andava bene e Zeman sì. Si arriva ad un punto in cui sulla squadra, sulla dirigenza, in parte anche sui tifosi, scende una sorta di cappa. Ci si guarda di traverso, non si parla, anche una piccola incomprensione diventa il K2 da scalare a piedi nudi. E serve un colpo di vento, forte, per spazzare via tutto.
Allora o c’è il presidente che va in spogliatoio, sbatte la porta, se la fa fuori con il tecnico prima e la squadra poi e spera nella scossa. Oppure (la maggior parte) c’è quello che manda via l’allenatore, poco importa quanti anni di contratto abbia o quali clausole contenga il suo contratto. Ne abbiamo viste molte (non credo ancora tutte) in casa Brescia in questi quattro anni e mezzo, stavolta l’impressione forte è che il rapporto fosse ormai arrivato talmente ai ferri corti tra Inzaghi e Cellino che andare avanti sarebbe stato solo un inutile tirare a campare.
Il tempo dirà se il colpo di vento che ha riportato Corini in biancazzurro ridarà anche serenità e vittorie, pure qui ci sono scorie pregresse che si spera siano davvero volate via. La sensazione è di aver già scritto per diciassette volte le parole che seguono, ora fanno diciotto: adesso gli alibi sono finiti, per tutti.
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