Schiaffo all’arbitro e pentimento: «Ho sbagliato, smetto col calcio»

«Non so quante giornate di squalifica mi daranno: ho capito di avere sbagliato e per me il calcio giocato è finito domenica»: con queste parole Mamadou Gueye, classe 1990 della Virtus Rodengo Saiano, sancisce di fatto la fine di una carriera.
Il momento
Un finale negativo, con il colpo inferto all’arbitro Simone Paderni della sezione di Chiari dopo un «qui pro quo» in campo durante la sfida col Nave, sospesa poi dal direttore di gara. All’episodio specifico ci arriviamo tra poco, ma Mamadou - attaccante peraltro con numeri non banali: 10 gol in 14 presenze a Rodengo, con alcuni viaggi verso il suo Senegal nel mezzo - non cerca scuse.
«Gioco in provincia da 15 anni (tra le altre, Gueye è stato anche con Gussago e San Michele Travagliato, ndr) e non mi è mai capitato di perdere la testa in questo modo: ho sbagliato e, per certi versi, se non ci fosse stato il ds Silvio Regola a mettersi di traverso, poteva andare peggio. Ho colpito l’arbitro al labbro, Silvio ha fatto sì che il colpo venisse deviato e attutito. Non sono un mostro, ma ho sbagliato, mi dispiace e chiedo scusa a tutti: al mio presidente, ai miei compagni, alla società. E prima di tutto all’arbitro: mi piacerebbe incontrarlo, non per giustificarmi ma per spiegarmi. E chiedergli scusa, lo ripeto, perché al netto di quanto accaduto non ho alcuna giustificazione, né vado a cercarne».
La ricostruzione
Cosa è accaduto, dunque? «C’è stata una rimessa laterale invertita, un mio compagno ha buttato via il pallone e ha protestato, io gli ho detto che non era stato molto furbo (l’espressione è più colorita, ndr) dato che stavamo perdendo e il primo tempo stava finendo.
L’arbitro ha pensato che mi rivolgessi a lui e mi ha espulso. Inizialmente ho cercato di parlare con il direttore di gara, facendogli capire che non ce l’avevo con lui e che non gli avevo mai rivolto la parola durante la gara. Lui mi ha detto che non poteva tornare indietro perché aveva estratto il rosso. Lì allora l’ho colpito».
Fine di una carriera
La carriera di Mamadou è finita così. Ma, in ogni caso, non avrebbe più indossato comunque la maglia della Virtus Rodengo. «Già nel dopo gara di domenica lo abbiamo messo fuori rosa – spiega il presidente del club di Terza Alessandro Persico – perché da anni, da quando abbiamo fondato il club, lavoriamo per creare una immagine positiva e pulita e poi basta un gesto per spazzare via tutto. Non so francamente se andrò avanti con la prima squadra, terrò sicuramente il settore giovanile. Ma pure qui, gli atleti più grandi devono essere esempi per i ragazzi giovani e non a caso contro il Collebeato abbiamo fatto entrare gli atleti della Terza mano nella mano coi nostri ragazzini. L’esempio stavolta è stato pesantemente negativo ed è una ferita che sanguina, anche perché il gesto arriva da un atleta che si era sempre comportato bene. Mi prendo qualche giorno per riflettere».
Arbitri in silenzio
E se dall’Aia di Chiari nessuno parla, rispettando i regolamenti interni che lasceranno la parola (verosimilmente giovedì) alle decisioni del giudice sportivo, per la delegazione di Brescia parla Stefano Facchi. «Quando si parla di sanzioni troppo pesanti, di squalifiche troppo lunghe, dobbiamo pensare che in realtà il giro di vite serve a dare un messaggio. Bene ha fatto la Virtus Rodengo a tagliare il giocatore dalla rosa, come bene ha fatto il Concesio, per citare un altro esempio, a giocare a porte chiuse per le intemperanze di alcuni genitori.
Il tema non è se il calciatore abbiamo colpito o solo sfiorato l’arbitro; il punto è che è stata usata violenza e dunque c’è un’emergenza educativa: non si riconosce più una autorità terza, così come spesso accade che un atleta mandi a quel paese l’allenatore perché lo ha sostituito. Manca il senso del rispetto seguo tanti altri sport ma queste scene le vedo solo nel calcio: sembra quasi sia divenuto una sorta di sfogatoio. E naturalmente questo non va bene».
Riproduzione riservata © Giornale di Brescia
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