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Fabrizio Bontempi: «Giro, i miei favoriti sono Carapaz e Almeida»

L’ex ds Uae che ha portato al professionismo Pogacar: «Per rilanciare il movimento azzurro la Federazione aiuti le società giovanili»
Il gruppo compatto durante una delle tappe ungheresi di questo inizio Giro - © www.giornaledibrescia.it
Il gruppo compatto durante una delle tappe ungheresi di questo inizio Giro - © www.giornaledibrescia.it
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Per trent’anni ha vissuto il Giro, prima come corridore, poi come direttore sportivo con un occhio di riguardo ai giovani. Fra i suoi meriti l’aver portato al professionismo uno dei più grandi talenti delle ultime generazioni, lo sloveno Tadej Pogacar. Da qualche mese Fabrizio Bontempi si gode la meritata pensione, ma continua a seguire l’attività giovanile con la sua Progetto ciclismo di Rodengo Saiano e butta un occhio, per deformazione professionale al Giro d’Italia.

Che ne pensa di questo esordio in terra ungherese?

«Con la tappa di oggi in Sicilia inizia il vero Giro. Con tutto il rispetto della trasferta ungherese, in Italia ci sono altri percorsi. Mettere poi una tappa impegnativa dopo il riposo può essere un problema per molti corridori reduci da un lungo trasferimento. E va messo in conto il clima che troveranno. Quanto alle giornate ungheresi, la crono ha fatto capire chi è già in forma».

A questo proposito Yates ha stupito tutti. È il favorito?

«No, mi è parso fin troppo in forma, il Giro è molto lungo e Yates ha dimostrato nelle precedenti occasioni di essere un corridore che nell’arco delle tre settimane ha sempre una giornata no. È fra i favoriti, ma non in primissimo piano».

Chi sono i suoi favoriti allora?

«Carapaz e Almeida hanno qualcosa in più degli altri, per tenuta e organizzazione di squadra anche se finora non si sono visti».

Pello Bilbao e Landa della Bahrain? Dumoulin?

«Li considero outsider. I due baschi mi paiono corridori più idonei ad affrontare corse di due, anzichè tre settimane. L’olandese è rientrato alle corse dopo una crisi psicologica lo scorso anno, non so cosa potrà fare».

Gli italiani dove sono, c’è solo Nibali?

«Vincenzo vorrà certamente lasciare un segno, è un campione, ma ha pure un’età atleticamente avanzata. Quanto agli altri al momento vedo il deserto».

Quali le ragioni di crisi del ciclismo azzurro?

«Si dibatte molto in questi giorni circa la mancanza di una squadra di World Tour italiana, ma il vero problema è il ciclismo di base. Noi a Brescia, Bergamo e Veneto siamo in fondo un’isola felice, altrove è il disastro. Le società non hanno neppure i soldi per pagare i premi ai ragazzi. E iniziano a scarseggiare le corse. La Federazione però non si rende conto della situazione e invece di sostenere le società nell’organizzazione delle gare e agevolarle ha pensato bene di cambiare i rapporti per i Giovanissimi, gravando i costi già significativi. Serve un cambio di passo, perchè senza base il nostro ciclismo non ha futuro».

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Tornando al Giro dove si deciderà?

«Nella terza settimana ovviamente, a partire dalla Salò Aprica posizionata il giorno dopo il riposo, con il Crocedomini in partenza che se fatto forte, farà la differenza. È tuttavia un Giro con tanti trabocchetti».

E il Giro dei bresciani?

«Tagliani si sta mettendo in mostra nelle fughe, ma gli consiglio di risparmiare energie per provarci in una tappa dove la fuga ha più probabilità di andare in porto, Tonelli ad esempio lo vedremo più avanti e Mareczko in Ungheria ha perso una grande occasione perchè anche nelle tappe per velocisti la strada non è mai così piatta come in terra magiara. Però se tiene, ha una grande squadra a disposizione e un super Van der Poel al suo servizio».

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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