Scuola

Vasta: «Il compito in classe non può diventare un atto burocratico»

L'intervista al professore di diritto amministrativo Università di Parma
Stefania Vasta
Stefania Vasta
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Il compito in classe è davvero da considerarsi un atto amministrativo e come tale richiedibile con un accesso agli atti?

Partiamo dalla definizione normativa, ai sensi della quale si può esercitare il diritto di accesso nei confronti di ogni «documento amministrativo» concernente attività di pubblico interesse. Da questo angolo visuale l’interpretazione fornita dalla circolare può apparire coerente con il dettato normativo. Il compito in classe, infatti, è espressione di un’attività di valutazione che il docente esercita nei confronti della prova dello studente e pertanto costituisce esercizio di una funzione prioritaria svolta dagli istituti scolastici.

Tuttavia, una norma deve essere letta avendo di mira la ratio sottesa e in tal senso evidenzio come il diritto di accesso sia funzionale a garantire la trasparenza dell’attività della PA e l’intelligibilità dei suoi atti. In altri termini, serve a garantire a chi vanta un interesse qualificato la possibilità di accedere al corredo documentale di cui dispone la PA, al fine di esercitare una valutazione dall’esterno della sua azione.

Ma volendo osservare da vicino la circolare, essa non tende a soddisfare questa finalità, ma sembra orientata a garantire che il compito in classe, in quanto documento amministrativo, sia conservato dall’istituto scolastico, evitando l’ipotesi del suo smarrimento. Quali sono, quindi, gli interessi in gioco? Da un lato, l’interesse della scuola a conservare i compiti in originale e, dall’altro, l’interesse dei genitori ad avere accesso pieno e diretto agli elaborati dei figli. In questo quadro, mi pare che l’obiettivo di garantire il primo interesse non possa comprimere il secondo, perché nella scala dei valori tutelati dall’ordinamento mi pare che vi sia netta priorità alla funzione formativa rispetto a quella di custodia dei documenti. In definitiva, si rischia di attribuire allo scambio docenti-genitori una formalizzazione che finirebbe per svilire la funzione educativa sottesa alla conoscenza piena, diretta e scevra da formalismi dei progressi scolastici dei figli minori da parte dei genitori.

Se un insegnante consegna a casa la verifica viola la legge e che rischi corre?

Rispetto alle premesse da cui sono partita, a mio avviso non vi è violazione della legge ma violazione della circolare.

Giusto far pagare la domanda per ogni singola materia o è una scelta arbitraria?

Il pagamento è connaturato all’esercizio del diritto di accesso e, in quanto tale, sarebbe potenzialmente corretto. Occorre però riflettere su tale inquadramento, rispetto al quale, come ho detto, nutro qualche riserva.

Un genitore può fare ricorso al TAR contro questa circolare?

Le circolari normalmente sono atti diretti agli organi interni della PA e pertanto non sono suscettibili di immediata impugnazione. In questo caso, però, destinatari sono anche le famiglie e quindi la possibilità di impugnazione immediata la considero una strada potenzialmente percorribile.

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