Garda, progetto «Hyak»: la vela per la riabilitazione psichiatrica

La barca a vela come terapia complementare per i pazienti dei Centri Psico Sociale (CPS) di Lonato e Salò. È il progetto «Hyak», promosso da Asst del Garda, nato nel 2018 in collaborazione con la Fraglia Vela e i Gnari di Capolaterra, e da qualche anno esteso anche all’alto Garda con il coinvolgimento della Polisportiva San Felice del Benaco e l’Associazione Hyak Asp.
Il percorso, che quest’anno coinvolge una dozzina di pazienti tra i 18 e i 65 anni, include lezioni teoriche e pratiche che vanno dalla conoscenza dei venti e delle andature alle tecniche di governo, ormeggio, alaggio e rimessaggio delle imbarcazioni. Una quindicina di incontri in tutto, da aprile a settembre, gestiti dagli educatori del Cps e dagli istruttori di Hyak.
Il progetto
«Il progetto agisce su molti capitoli importanti della riabilitazione psichiatrica – chiarisce Fabio Teti, direttore della Struttura Complessa di Psichiatria Garda e Valle Sabbia –, come la promozione del benessere e la cura del corpo, la gestione dello stress e dell’emotività, l’implementazione delle autonomie e delle responsabilità, l’interazione sociale e il rispetto delle regole».
«La costanza nella partecipazione – prosegue Teti – ha portato benefici visibili nei pazienti: maggiore autonomia, legami sociali più solidi e capacità di auto-organizzazione. Alcuni pazienti si frequentano anche al di fuori delle attività, costruendo dinamiche relazionali durature». Importante, a fini riabilitativi, è anche la partecipazione delle famiglie, coinvolte attivamente nell’ultimo anno. «Sono un supporto fondamentale per rafforzare la rete educativa e riabilitativa – sottolinea l’educatore del Cps Demetrio Marrari –, trasformando Hyak in un modello di intervento integrato».
Inclusione e terapia
Il progetto ha obiettivi mirati per ciascun paziente, ed è solo una delle tante attività svolte dal team del Dipartimento Salute Mentale e delle Dipendenze di Asst del Garda, come ha ricordato il direttore socio sanitario Paolo Schiavini. «Ho creduto immediatamente in questo percorso – conclude il direttore generale Roberta Chiesa –, perché l’inclusione è un caposaldo del nostro lavoro quotidiano e perché dà risultati concreti. La barca a vela è a tutti gli effetti una terapia complementare, uno strumento di educazione e socializzazione, non solo per i pazienti, ma anche per i volontari e gli operatori. C’è uno scambio reciproco di crescita personale e una valorizzazione profonda della persona e delle sue capacità, che contribuiscono al suo reinserimento nella vita quotidiana»
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