Nei Pronto soccorso bresciani 66mila accessi in più in due anni

Dalle valli ai laghi passando per pianura e montagne: in tutti i Pronto soccorso delle quattro Asst bresciane il numero di accessi aumenta di anno in anno al punto da sfiorare i livelli pre-Covid. I dati raccontano quella che all’apparenza potrebbe sembrare una normalità quasi ritrovata. Ma, andando oltre le tabelle, si scopre una realtà che in pochi anni ha subìto grandi mutamenti.
Si pensi alla carenza attuale di personale nel settore dell’emergenza-urgenza, a quanto si sta investendo per offrire risposte direttamente sul territorio (telemedicina, cantieri di case e ospedali di comunità, infermieri di famiglia, farmacia dei servizi...) e a come sono cambiati i pazienti.
Ha la situazione sott’occhio ogni giorno Cristiano Perani, responsabile del Pronto soccorso di Brescia degli Spedali Civili: nel 2023 la struttura da lui diretta ha registrato oltre 67mila accessi contro i 75mila del 2019, i quasi 55.500 del 2021 e i 69mila del 2013. «Prima della pandemia – spiega – anno dopo anno riscontravamo un sensibile aumento degli accessi. Il Covid ha portato le persone a evitare il Pronto soccorso per timore di un eventuale contagio. E ora è in corso un veloce recupero: stiamo raggiungendo i numeri del pre-pandemia, ma in questi quattro anni è cambiata la popolazione». In che senso? «Abbiamo sempre più a che fare con pazienti che manifestano il riacutizzarsi di patologie croniche. Cosa che rende più complesso l’impegno diagnostico e allunga i tempi di gestione. Inquadrare la causa di un sintomo di un 85enne con cinque malattie è infatti molto diverso dal dover intervenire nei confronti di una persona che si è rotta la caviglia».
I problemi del personale sanitario
Questo sta succedendo in un momento storico caratterizzato da due fenomeni. Primo: la carenza di medici, personale del comparto sanità e infermieri. Figure, queste ultime, «che hanno un ruolo importantissimo: devono avere grande capacità professionale, oltre a fiuto e soft skills ma, lo sottolineo, non vengono adeguatamente remunerate». Durante la pandemia «abbiamo assistito al burnout del personale sanitario: in molti, in tutta Italia, hanno lasciato gli ospedali».
La medicina di prossimità
Secondo fenomeno: la costruzione di una medicina di prossimità che dovrebbe dare risposte dirette ai cittadini. Su questo fronte «siamo a metà del guado: alcuni infermieri lasciano gli ospedali per lavorare sul territorio, ma per ora i benefici diretti di questi nuovi servizi sul nostro lavoro non si sono notati».
La strada da percorrere è comunque questa anche secondo Perani: «Senza una risposta del territorio non potremo uscire da questa situazione: fuori dagli ospedali c’è bisogno di strutture che si accollino le problematiche acute che non rappresentano l’emergenza-urgenza. Realtà che promuovano la salute e gestiscano il follow up». Ma tutto questo non sarà sufficiente in assenza di «una formazione della popolazione che favorisca uno switch culturale e un’assunzione di responsabilità da parte di tutti».
Gli accessi nelle altre Asst
Tornando ai numeri, si diceva che il lavoro continua ad aumentare: dal 2022 al 2023 nei Pronto soccorso delle quattro Asst bresciane (Spedali Civili, Garda, Franciacorta e Valcamonica) si è passati da 337.267 a 353.540 accessi l’anno; la differenza è di oltre 16mila unità. Il confronto è ancora più pesante se fatto con i 287.936 accessi del 2021: in un biennio il gap è di quasi 66mila accessi.
Entrando, poi, nel dettaglio dei dati dell’anno scorso, emerge che il numero maggiore di accessi (130.401 con una media giornaliera di 357) è stato registrato nei pronto soccorso dell’Asst Garda (Desenzano, Gavardo e Manerbio), seguono gli Spedali Civili con 110.656 accessi (303 in media al giorno), l’Asst Franciacorta (71.810 tra Chiari e Iseo), e l’Asst Valcamonica (40.673 a Esine). //
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