Esami e visite, slitta il cambio tariffe e spunta un piano per ridurre le attese

Bisognerà attendere ancora per poter accedere ai nuovi Livelli essenziali di assistenza «Lea», le prestazioni garantite dal Servizio sanitario nazionale ai cittadini gratuitamente o con il pagamento di un ticket, aggiornati nel 2017, ma ancora non disponibili.
L’entrata in vigore del relativo tariffario, dopo le proteste di varie organizzazioni della sanità privata accreditata e dei laboratori per i tagli previsti alle tariffe di rimborso per le strutture, è stata posticipata dal primo aprile di quest’anno al primo gennaio 2025.
Come si legge nel decreto del Ministero della Salute, la proroga si è resa necessaria «a fronte dell’espressa richiesta di un cospicuo numero di Regioni» e «della correlata disponibilità delle restanti Regioni al riguardo». Avere più tempo consentirà di «valutare una più ampia revisione delle medesime tariffe, assicurando una graduale transizione al nuovo tariffario» su specialistica ambulatoriale e protesica.
Tagli e proteste
L’entrata in vigore del nuovo tariffario e del pacchetto di nuove prestazioni a carico del Sistema sanitario nazionale (come l’introduzione a livello nazionale delle procedure di procreazione medicalmente assistita, di test genetici e di servizi ad alto contenuto tecnologico) è già slittata più volte. Il nodo sono i tagli previsti alle tariffe di alcune prestazioni, e dunque i conseguenti minori rimborsi (pari al 30-40%) alle strutture sanitarie che le erogano.
Uno scenario che aveva suscitato la protesta di strutture private convenzionate con il Servizio sanitario, come l’Associazione religiosa istituti socio-sanitari: l’Aris aveva lamentato che alle condizioni paventate «non sarebbe più stato garantito almeno il 50% delle prestazioni ambulatoriali in un anno». Da qui il rinvio con la speranza di recuperare risorse per ridefinire il tariffario. Rinvio che non ha mancato di suscitare polemiche circa il permanere di disparità da una zona all’altra del Belpaese.
Le eccezioni
Al momento, dunque, i Lea disponibili sono quelli del 2001. Solo poche Regioni, infatti, hanno scelto di garantire servizi ulteriori ai Lea attingendo a fondi propri.
Tra queste c’è la Lombardia, che in quanto a capacità di utilizzare le risorse dello Stato per erogare servizi essenziali figura al quarto posto nella classifica stilata dalla Fondazione Gimbe con dati relativi al 2021 dopo realtà come Emilia Romagna (che si è piazzata al vertice), Toscana e Provincia autonoma di Trento.
Nodo risorse
A proposito di risorse sul tavolo del Governo in questi giorni c’è un piano nazionale per abbattere le liste d’attesa. Un piano da 600 milioni l’anno che, questa volta, non verranno erogati alle Regioni, ma alle Ats o agli ospedali con le code più lunghe affinché possano coprire i costi del lavoro aggiuntivo che i medici e gli infermieri dovranno svolgere e acquistare alcune prestazioni dalle realtà private.
Va nella direzione di ridurre i tempi e riorganizzare i servizi anche il Cup (Centro unico prenotazioni) della Lombardia, una novità oggetto di numerosi rinvii, che dovrebbe prendere forma a Brescia quest’estate (e in tutta la regione nel 2026) con le Asst Spedali Civili, Garda e Franciacorta e la Poliambulanza (il coinvolgimento di altri privati verrà infatti definito in una fase successiva sulla base di una programmazione di dettaglio ancora in corso).
L’appello
Tornando al tema fondi da una recente relazione elaborata dalla Corte dei Conti per il Parlamento emerge che la spesa sanitaria pubblica italiana (131 miliardi nel 2022) è parecchio inferiore a quella della Germania (423 miliardi) e della Francia (271) e quella privata cresce più che in altri Paesi europei.
Un appello affinché vengano stanziati più fondi alla sanità pubblica - alla quale «nel 2025 sarà destinato il 6,2% del Pil, meno di vent’anni fa» - è stato firmato da 14 scienziati ed esperti di economia e politica sanitaria tra i quali figura il premio Nobel per la fisica Giorgio Parisi. «È impietoso il quadro offerto dai firmatari - osserva l’on. Gian Antonio Girelli -. Il Ssn è in crisi perché mancano i fondi e l’autonomia differenziata promossa da questo Governo rischia di allargare il solco tra le regioni. Meloni e Schillaci continueranno a fare gli struzzi o finalmente daranno concreti segnali di inversione?».
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