«Cari genitori», come parlare ai figli delle immagini di guerra

Bambini e ragazzi sono sommersi dalle immagini dei conflitti, e anche solo vedere la guerra può lasciare traumi profondi. Ecco perché è fondamentale che genitori e insegnanti aiutino i giovani a comprendere e a dare un nome alle emozioni
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«Cari genitori», come parlare ai figli della guerra
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Abbiamo già detto cosa accade ai bambini travolti dalla guerra e accennato al trauma per chi sopravvive. Oggi vorrei farei un cenno a ciò che accade ai nostri figli esposti continuamente alle immagini della devastazione.

Anche il solo vedere la violenza può essere traumatizzante, soprattutto se lo si fa da soli e senza il confronto con un adulto. Il rischio per tutti è elevato.

La guerra vista da lontano

Günther Anders, un importante filosofo e scrittore tedesco, diceva che il pericolo più grande nel genocidio è quello diventare insensibili, incapaci di provare sentimenti per coloro che vivono gli orrori del massacro. È l’indifferenza e l’analfabetismo emotivo che va evitato, perché è la distanza del sentimento che porta a giustificare l’inferno e ci fa dire: «Noi siamo diversi» oppure «I cattivi sono da un’altra parte».

Non nascondere l’assurdo

In tempi come questi, famiglia e scuola non devono far finta di niente. Genitori e insegnanti dovrebbero parlarne con minori e suscitare in loro domande. Non è facile ovviamente ma, diceva Danilo Dolci, che «Si può educare senza nascondere l’assurdo che è nel mondo».

I nostri bambini oggi, con i loro dispositivi conoscono tutto, anzi sono spesso sommersi dalle immagini di guerra, dalla violenza delle parole di odio, e hanno bisogno di adulti che sappiano dire la guerra e la verità su ciò che accade.

Dare un nome alle emozioni

Va spiegato cosa sta accadendo ma va lasciato spazio alle emozioni, alla paura e al terrore delle perdite affettive e materiali, della solitudine. E poi vanno stimolate le loro domande, gli interrogativi spaventosi che avvertono. La funzione dell’adulto è quella di accogliere ciò che loro sentono e di aiutarli a contenere i sentimenti più difficili.

Va capito cosa ne sanno dell’argomento e vanno aiutati a mettere ordine alle informazioni. Forse più di definire ci ha torto e chi ha ragione, con gli adolescenti è meglio avviare un dialogo sulle assurdità della guerra e lavorare sul pregiudizio.

Con i figli più piccoli serve per prevenire e contenere lo stress e il trauma dato da eventi imprevedibili. Con i più grandi vuol dire aiutarli a capire e ad accettare la realtà terribile senza minimizzare. Solitamente se non ne vogliono parlare è perché desiderano restare distanti dalle angosce che suscita la realtà e difendersi dal prendere coscienza della vulnerabilità umana.

Parlare della guerra con piccoli e grandi vuol dire cercare con loro le parole per dire quello che provano, trovare un nome ai loro sentimenti e magari anche disegnare i loro vissuti.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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