Quasi 7mila bresciani sono celiaci, erano 2mila in meno 10 anni fa

«Tutti a tavola, tutti insieme». A mangiare riso freddo con asiago, piselli e pomodorini, polpette di tonno e ricotta, cracker e dolce. Rigorosamente senza glutine. Nelle mense scolastiche cittadine, anche quest’anno, la Settimana nazionale della celiachia (10-18 maggio) si celebra così. Il pranzo gluten-free verrà servito venerdì: per un giorno tutti i bambini potranno gustare le stesse pietanze.
L’iniziativa mira a favorire l’inclusione e a far conoscere questa patologia sfatando falsi miti che purtroppo circolano ancora: la celiachia, infatti, non è una moda e nemmeno una dieta dimagrante; non è una condizione temporanea, può insorgere anche in età adulta e non va confusa con l’allergia al frumento.
Cos’è
Nella relazione annuale al Parlamento, il Ministero della Salute definisce la celiachia viene «una patologia infiammatoria autoimmunitaria scatenata dall’ingestione di glutine in soggetti geneticamente predisposti. Si localizza principalmente nell’intestino tenue, ma può interessare anche altri distretti anatomici». I sintomi sono vari, la terapia è una sola: non mangiare cibi che contengono glutine. Vietati quindi, per esempio, frumento, segale, orzo, farro e bulgur. Ammessi, invece, riso, mais, grano saraceno, amaranto e miglio.
I numeri
Nel Bresciano – stando ai dati che ci ha fornito la Ssd Epidemiologia di Ats Brescia che riguardano tutta la provincia esclusa la Valcamonica – soffrono di celiachia quasi 6.900 persone (per l’esattezza sono 6.851 nella fotografia scattata a fine 2024), all’incirca duemila in più di dieci anni fa: nel 2015 erano 4.769. La patologia interessa 5,6 persone ogni mille abitanti (erano 4 nel 2015). È più frequente tra le donne (7,8 ogni mille) rispetto che tra gli uomini (3,5). La prevalenza è massima nelle classi di età più giovani, in particolare tra i 15 e i 30 anni, sia tra i maschi sia tra le femmine. L’80% dei casi si concentra tra i 10 e i 60 anni.
I dati bresciani sono in linea con quelli lombardi. Nella nostra regione, stando alla relazione del Ministero della Salute, nel 2023 sono stati contati 49.278 celiaci sui 265.102 di tutta Italia (in Piemonte e Sicilia sono oltre 18mila, nel Lazio più di 26mila, in Valle d’Aosta meno di 700). Ogni anno in Lombardia le nuove diagnosi sono all’incirca 2.240 (questa la media dal 2020 in poi).
I costi
Nel 2023 il Servizio sanitario nazionale ha investito oltre 249 milioni di euro per erogare alimenti senza glutine in esenzione ai celiaci. Rispetto al passato la cifra è aumentata (erano 235 milioni nel 2020). Di questi fondi 46,8 milioni sono arrivati in Lombardia (erano 40,7 milioni nel 2020). La media pro-capite è 950 euro.
In Lombardia i limiti di spesa sono in funzione del sesso e della fascia d’età: si va dai 56 euro per i bambini tra i 6 mesi e i 5 anni ai 124 per i maschi tra i 14 e i 17 anni. E scende a 89 (uomini) e 75 (donne) per gli over 60.
La terapia
Sintomi diversi, una sola terapia. Come spiega Chiara Ricci, responsabile dell’Unità complessa di Gastroenterologia del Civile nonché professore associato di Malattie dell’apparato digerente all’Università di Brescia, «soprattutto tra i bambini la forma classica di celiachia implica diarrea, perdita di peso e mancato accrescimento. I sintomi, però, possono essere molto vari. Con pazienti adulti, ad esempio, il sospetto in molti casi si fa largo solo quando l’anemia non risponde alle cure».
Alla diagnosi si arriva facendo l’esame del sangue e, per gli adulti, la gastroscopia con biopsia. Poi «l’unica terapia è la dieta priva di glutine. Allo studio - aggiunge - ci sono nuovi farmaci che potrebbero agevolare la vita dei celiaci, ma per essere validati necessitano di un profilo di sicurezza altissimo». Dal nuovo regime alimentare non si sgarra: «L’errore ripetuto, anche in maniera involontaria, è un problema. Bisogna, quindi, fare molta attenzione. Solitamente chi scopre di essere celiaco perché presentava dei sintomi accetta bene la dieta; chi, invece, arriva alla diagnosi attraverso lo screening fa più fatica ad adattarsi». Togliere il glutine se non si è celiaci, invece, «non ha senso. Anzi, può essere rischioso»: la dieta priva di questa proteina può richiedere, infatti, l’integrazione di elementi come ferro e calcio.
Il numero di celiaci, si diceva, è in continua crescita: «Il nostro ambulatorio, al Civile, dal 2010 al 2024 ha seguito 1.300 pazienti. Diagnostichiamo un centinaio di casi l’anno». La celiachia è in aumento così come tutte le patologie autoimmuni: «A determinare ciò è una combinazione di più cause: incide il fatto che viene cercata di più; possono, poi, esserci dei fattori ambientali. Il 30% della popolazione ha una predisposizione genetica alla celiachia, ma ovviamente non tutti, poi, sviluppano la malattia. Che in molti casi si fa largo in seguito a un evento traumatico negativo o positivo: un lutto, la maternità».
Riproduzione riservata © Giornale di Brescia
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