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Economia circolare, reinventare il mondo non è più un optional

Una sfida imponente ma affascinante e non più rinviabile. Tempi stretti ma dobbiamo farcela
L'attenzione all'ambiente diventa primaria anche in economia
L'attenzione all'ambiente diventa primaria anche in economia
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L’economia circolare è un’economia capace di autorigenerarsi e procedere all’infinito con risorse finite. Un sistema in cui non esistono rifiuti: solo flussi di materiali biologici, che possono essere riassorbiti dalla biosfera, e di materiali tecnici da rivalorizzare, cioè trasformare in nuovi oggetti utili». Così la definizione più accreditata, e inevitabilmente generica, di cosa si deve intendere per economia circolare. In questi ultimi anni e mesi se n’è parlato molto.

Il premier Mario Draghi ha voluto un ministero per la transizione ecologica che, per molte cose, si rifà al tema dell’economia circolare. Bisogna fare tutto il possibile per non buttare niente, per riutilizzare quel che si ha, per ridare nuova vita e funzioni a cose che buttiamo in discarica, per contenere gli sprechi di qualsivoglia natura. Diciamolo: per avere un mondo più pulito, per lasciare a figli e nipoti, un mondo più bello e sano, oltre che una moneta più in salute, sempre per citare Draghi. Detto così parrebbe, e lo è, una cosa buona e utile, persino facile. Ecco: facile non è e non lo sarà, ma bisognerà pur partire. Il problema è convincerci.

Quando nella storia dell’uomo, arrivano questi momenti, queste potenti fratture fra un prima (quando si poteva, diciamo così, sprecare senza troppe remore) e un dopo (che si misura come oggi con un mondo sporco come non mai, a rischio di sopravvivenza probabilmente) si dice spesso che il primo problema è culturale, che bisogna, cioè, che la gente, che noi tutti, ci si convinca che questa è la strada da imboccare, ci sarà sempre qualcuno che dirà di no ma la gran parte dovrà essere convinta che reinventare il mondo non è più un optional.

Vi ricordate i «verdi»? Perché la sfida è un po’ questa: reinventare il nostro modo di stare al mondo non sarà una passeggiata (e uso un eufemismo, evidentemente) ma converrete con me che è la sfida più affascinante, più sexy, che abbiamo davanti. Ma va convinto mezzo mondo almeno del fascino della sfida. E bisogna mettere in campo idee, energie, risorse colossali, passione a non finire per far sì che l’idea cominci a delinearsi. Qualcuno ricorderà che quasi mezzo secolo fa nasceva il movimento dei verdi, ecologia era una parola da pronunciare con cautela, ho personalmente assistito ad un comizio in piazza di un leader degli agricoltori che sperava, diceva, di incontrare un qualche verde per inforcarlo visto che non volevano i pesticidi.

Un po’ eccentrici, svagati, marziani. Così erano descritti (e un po’ lo erano, intendiamoci) i primi verdi. Sentite Larry Fink. L’altro ieri, Larry Fink, il numero uno del fondo BlackRock, a sua volta numero uno al mondo (8,7 trilioni di dollari in gestione, attenzione: 1 trilione = 1000 miliardi di dollari), ebbene mister Fink ha scritto una lettera agli amministratori delle aziende in cui investe per dire loro che il rischio climatico oggi è il maggiore per le aziende. E che quindi si regolino: o si mettono in regola e fanno investimenti per azzerare le emissioni di CO2 oppure i fondi cambieranno direzione.

 

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