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I dati servono quando sono fondamentali: la sfida di Ideas

Dai Big agli Smart Data con un algoritmo selettivo: Il progetto universitario sperimentato in fabbrica
  • Docenti e ricercatori dietro al progetto Ideas
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    Docenti e ricercatori dietro al progetto Ideas
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Si sa che ormai i Big Data sono al centro del ciclone. Tecnologico, mediatico, economico, perfino giuridico se scappano di mano come è successo a Mark Zuckerberg. Ma non tutti i Big Data vengono per nuocere e soprattutto non è (del tutto) vero che le tecnologie più avanzate finiranno per soppiantare l'uomo come i replicanti di Blade Runner. Anzi, chi le sviluppa è convinto che saranno un supporto all'intelligenza umana, che rimane ineguagliabile, ma può trarre grossi vantaggi dai servizi smart.

Breve premessa: cosa sono? Da Wikipedia: il termine Big Data («grandi dati» in inglese) descrive l'insieme delle tecnologie e delle metodologie di analisi di dati massivi, ovvero la capacità di estrapolare, analizzare e mettere in relazione un'enorme mole di dati eterogenei, strutturati e non strutturati, per scoprire i legami tra fenomeni diversi e prevedere quelli futuri. Piccolo esempio che in tanti abbiamo sotto gli occhi: Netflix e Amazon ci «raccomandano» alcune visioni o acquisti e lo fanno sulla scorta delle analisi delle ricerche e degli acquisti fatto in precedenza.

Dicevamo che i Big Data possono essere di supporto a chi deve decidere. Da qui il progetto Ideas, un algoritmo capace di selezionare, fra un mare di dati, i più significativi per individuare anomalie nelle macchine. A elaborarlo il dipartimento di Ingegneria dell'Informazione dell’Università di Brescia, impegnato da quattro anni in un progetto nell'ambito del Cluster Fabbrica Intelligente, coordinato dal PoliMilano e finanziato dal Miur. Per «Smart Maintenance» il gruppo di ingegneri si è focalizzato sulla manutenzione predittiva, lavorando cioè su grandi volumi di dati per cercare di prevedere in modo efficace e preciso la rottura di un macchinario.

«Lavorare sui Big Data è il futuro anche nel campo della manutenzione. Il punto è saperlo fare in modo intelligente, filtrando solo i dati rilevanti - racconta il prof. Devis Bianchini, referente del progetto per l'Università di Brescia -. Per questo ci siamo occupati di sviluppare tecniche per l'analisi dei dati, servendoci di sensori che li raccolgono ed elaborando algoritmi che ci consentono di passare dai Big Data agli Smart Data, distinguendoli, organizzandoli e visualizzandoli».

Così è nato Ideas, che sta per Interactive Data Explorator As a Service: «Si tratta di un algoritmo che riassume i dati, attirando in questo modo l'attenzione dell'esperto solo su quelli significativi», spiega Bianchini. In pratica è un lavoro di squadra: i sensori raccolgono i dati, Ideas individua quelli che registrano anomalie nel funzionamento della macchina, l'esperto riconosce le criticità e sulla base di quelle fa la sua previsione. «Va concepita come una tecnologia di assistenza all'essere umano, la cui esperienza e capacità di analisi non sono sostituibili - dice la prof.ssa Valeria De Antonellis, vicedirettore del dipartimento.

Perché se la manutenzione predittiva non è più una novità in assoluto, i passi in avanti sono stati da una parte poter esaminare tutti i dati e non più solo alcuni come in passato, e dall'altra riuscire a fare tutte le analisi su una macchina in funzione, in fabbrica, nel suo contesto. Finora abbiamo sperimentato su un mandrino multicenter - continua Bianchini -, ma l'obiettivo è riuscire ad applicare questo sistema a tutte le macchine».

Non a caso ci sono già aziende in pista per partecipare ai test. Dalla Porta Solutions bresciana, partner ufficiale del progetto, alla genovese Hyla Soft, le industrie dimostrano interesse crescente per una manutenzione predittiva sempre più smart (e sempre più economica). E che si prepara a espandersi su una gamma immensa di applicazioni: dall'industria 4.0 al settore health care fino allo sport.

C’è un tema, che metto in coda ma che sta alla base dell’iniziativa del giornale di dare spazi e visibilità alla ricerca applicata che si fa in università. Ed è il rapporto che le aziende possono aere con l’università stessa. E che oggi è un rapporto abbastanza flebile, quasi nullo se si considera che questa è la piazza a più alta vocazione manifatturiera d’Europa. Far sapere quel che si fa là dentro (in università) ci pare un modo utile alle aziende. Che però devono fare un primo passo. Fatevi sentire, chiamate, scrivete. L’indirizzo mail è facile: nome.cognome del docente o ricercatore@unibs.it.

 

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