Lo stop di ChatGPT e la regola che non c'è

Sospesa, almeno fino al 20 aprile. In quella data scadrà la richiesta di adeguamento avanzata dal Garante della privacy a OpenAi, la società che ha sviluppato il software di intelligenza artificiale relazionale ChatGPT e che ha deciso di bloccare momentaneamente il servizio in Italia.
Tre sono i punti rilevati dall’Autorità: mancanza di una informativa agli utenti sulla raccolta dati, l’assenza di una base giuridica che giustifichi l’operazione, nonché la non esistenza di un filtro per verificare l’età. Ma al di là degli aspetti strettamente legati alla protezione dei dati, quello che si è verificato in Italia è un unicum su scala mondiale. È la prima volta che viene imposto lo stop a un software di intelligenza artificiale generativa, un passo che si presta a diverse interpretazioni.
Se da un lato infatti in tanti si sono scagliati contro la decisione del Garante, compresa la politica in modo bipartisan (si leggano le dichiarazioni di Salvini e Renzi), dall’altro una tale disposizione fa emergere un problema che non è solo dell’Ia ma di tutte quante le nuove tecnologie, dalla blockchain al metaverso: mancano le regole, le norme giuridiche che ne regolano il comportamento e il funzionamento in relazione a singoli, aziende e Pubbliche amministrazioni. La tecnologia corre più veloce della società ma non per questo le deve essere concesso di scorrazzare libera nelle praterie del possibile. Servono limiti.Un esempio, con tutti i dovuti distinguo del caso, può arrivare dalla Cina. Qui nel marzo 2022 il governo ha obbligato le grandi aziende dell’It a depositare in un apposito registro i loro algoritmi. Ma se nel Dragone ciò serve per tenere sotto controllo l’economia, nell’Occidente democratico questa soluzione porrebbe le big tech davanti alla necessità di essere trasparenti. Perchè la tecnologia deve essere al servizio delle persone, non delle aziende che la sviluppano. È una questione di giustizia sociale.
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