Effetto-madeleine al sapor di rosolàda

Alla ricerca della merenda perduta. È un vero e proprio effetto-madeleine quello confessato dai lettori di Dialèktika che hanno risposto all’appello lanciato domenica scorsa: ricostruire la ricetta della rosolàda. Una sfida che ha riportato a galla il ricordo di nonne, cucine e merende zuccherate. Ma non solo.
Innanzitutto - tra i mille possibili utilizzi culinari dell’uovo - va ricordato sua maestà el ciarighì, l’uovo al burro, l’occhio di bue. Da noi si chiama ciarighì proprio per quel rosso cerchio perfetto al centro che ricorda l’antica tonsura dei chierici, la ciarèga. L’uovo strapazzato invece non aveva un vero e proprio nome specifico, per taluni era semplicemente l’öf al padilì.
Ed eccoci alla rosolàda, il cui nome si deve proprio alla più appariscente delle due componenti dell’uovo: el rós, il tuorlo, che qualcuno chiama anche la borèla o la bùrla. L’altra componente è l’albume, la ciàra.
Spiega Santina: «Mia mamma Lucia a Bagnolo Mella separava l’albume dal tuorlo, con la forchetta montava l’albume a neve, aggiungeva lo zucchero e il tuorlo e delicatamente amalgamava il tutto».
Poi, infinite possibili variazioni. Dal pane a tocchetti per farne merenda al goccio di marsala nelle occasioni speciali. «Mio nonno classe 1885 - racconta Roberto - ci aggiungeva una buona dose di vino rosso decantandone le virtù terapeutiche. Mia nonna inorridita diceva che il tutto aveva un colore "trà sü de ciùc". In ogni caso lui è visuto arzillo e presumo felice fino a 88 anni».
Meno abbondante il ricordo di Claudio: «Mia mamma è del ’39. Durante la guerra a volte in famiglia dividevano un uovo in quattro».
Effetto-madeleine. Ricordando gioie e fatiche.
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