La Lega compie 40 anni, Caparini: «La Valcamonica è casa di Bossi»

L’imprenditore camuno, tra i padri fondatori del Carroccio, racconta i momenti clou del partito e la nascita della «Lega delle Leghe»
Bruno Caparini con Umberto Bossi, con la maglia verde suo figlio Davide
Bruno Caparini con Umberto Bossi, con la maglia verde suo figlio Davide
AA

Camuno (caratteristica a cui tiene particolarmente), imprenditore, tra i padri fondatori della Lega Nord, storico amico di Umberto Bossi, consigliere e figura chiave nei passaggi politici più delicati e significativi per il partito che è oggi il più longevo d’Italia.

I quarant’anni della Lega rappresentano anche quarant’anni della storia di Bruno Caparini.

È vero che lei conosce la Lega da prima della fondazione?

Sì, è vero. All’inizio degli anni Ottanta nel collegio sindacale della mia azienda sedeva un commercialista di Sondrio, Gianpaolo Paini, che conosceva Umberto Bossi. Dopo un Cda mi ha detto: «Anche tu devi entrare nella Lega, la pensi come noi». Era l’82. La Lega Lombarda è stata ufficialmente fondata nel 1984, ma la sua storia ha radici più profonde.

E come è stato il primo incontro con Bossi?

Era il 1984 e mi ha subito colpito il suo impeto: era l’intelligenza politica ma anche il braccio operativo e aveva un’energia inesauribile. Mi piacque subito che viaggiasse con un’auto sgangherata, una Citroën di almeno dieci anni prima, stracolma di giornalini, con una radio rotta sostituita da un mangianastri portatile da poche lire. Poi c’era la storia dei muri, anche quella divertente.

Quale storia dei muri?

Umberto era protagonista di intemerate insieme all’amico Roberto Maroni: andavano a pitturare abusivamente i muri delle strade più trafficate. Scrivevano «Lega Lombardia» o «Basta Roma, basta tasse». Mi raccontava di come andava ad attaccare i manifesti di sera e delle risse con i militanti degli altri partiti.

Nel 1990 arrivò il primo successo alle Comunali. Quali furono le reazioni?

È scattato subito l’allarme, si sono tutti affrettati ad etichettarci come qualunquisti. Non avevano capito che la gente aveva visto nella Lega uno strumento di rottura col passato. Quando in una regione così importante come la Lombardia si superano i tradizionali scostamenti elettorali e un quinto dell’elettorato si orienta su una lista anti-partiti è il segno di un profondo distacco. Bisognava dare risposte ai problemi.

Quali?

La difesa delle pensioni, per esempio. Ma nel programma c’erano anche temi innovativi. L’ultimo punto tracciava la visione di un’Europa unita, fondata su autonomia, federalismo, sul rispetto e la solidarietà diretta tra i popoli in grado di andare oltre gli Stati e i nazionalismi, unico limite per una vera integrazione. Ancora attuale, non crede?

Come è nata la Lega Nord?

Il percorso è iniziato due anni prima, nel 1989: era la prima volta che Bossi veniva al castello con Manuela e Renzo, che aveva pochi mesi.

A Ponte di Legno?

Si, a Ponte. Entrando in casa la mattina ho trovato Umberto davanti al camino, nel salone, che addentava un panino imbottito di mortadella. Mi ha pregato di cambiargli alloggio: ne voleva uno più piccolo, io decisi di no. Per i decenni successivi, quella in Valcamonica è stata la sua seconda casa.

Il «castello di Bossi»: che giorni erano?

Il rischio di essere fagocitati dai partiti tradizionali era molto alto. Umberto si è ritirato nel castello per preparare il congresso che vide la nascita della Lega Nord. Era un passaggio cruciale, perché i singoli movimenti autonomisti, anche quelli più strutturati come la Liga Veneta, dovevano cedere il passo.

Prima del discorso di fondazione dov’eravate?

La mattina del 10 febbraio 1991 Umberto era a casa mia, nevicava e non si decideva a partire per Pieve Emanuele, dove sarebbe nata la lega delle leghe. Fino alla notte fonda precedente abbiamo prefigurato le strategie. A un certo punto lo costrinsi a partire: arrivò in ritardo a un appuntamento con la storia. Da lì a poco sarebbe nata una Lega con ambizioni nazionali, la lega delle leghe.

Perché fu così importante cambiare denominazione?

Perché il Nord era un gigante economico, ma un nano politico. Fino ad allora era senza peso e senza una classe politica in grado di interpretare le sue istanze. Era senza leader: quelli che avrebbero potuto incarnare le necessità del nord erano impantanati nelle logiche romane o ne erano artefici.

Maggio 1994: la Lega è al governo con Silvio Berlusconi, a dicembre vota la sfiducia. Come è andata?

Quella decisione è stata fondamentale: venne presa da Bossi, ma anche da tutti noi del Consiglio federale e fu condivisa da deputati e senatori. Questo evento ha segnato un punto di svolta, perché ha ridefinito gli equilibri politici e formato nuove coalizioni.

La Lega però non fu compatta: non tutti sfiduciarono...

Vero, ma va spiegato. Quando Bossi si è accordato con Berlusconi pretese che la maggior parte dei collegi del Nord fossero dati alla Lega. Ma il Cavaliere come contropartita pretese che vi fossero candidati, seppur leghisti, scelti da lui. Non tanti, ma sufficienti per cambiare gli equilibri. E guarda caso, furono quelli che non votarono la sfiducia.

Quali furono le ragioni vere di quel voto di sfiducia?

Berlusconi gli aveva detto che del federalismo non gliene fregava niente, che era irrealizzabile. E c’era da poco stato lo scontro sulla riforma delle pensioni che Umberto non voleva toccare.

Dopo quanto tempo i due tornarono a parlarsi?

Passarono almeno quattro anni. Poi, tra il 1998 e il 1999, Marcello dell’Utri mi ha fatto contattare per un accordo. Lo incontrai all’hotel Principe di Savoia, a Milano. Dell’Utri mi ha detto: «Senza di voi noi siamo morti e senza di noi voi siete ghettizzati». Gli ho risposto che la ghettizzazione non ci spaventava.

E dopo l’incontro?

Dell’Utri mi ha proposto un documento firmato da Forza Italia, Fini, il Ccd e il Cdu. Dall’altra parte del foglio la Lega, in bianco, senza firma. Il documento conteneva tutti i punti del programma della Lega Nord, tranne l’indipendenza della Padania. Alla kermesse di ferragosto a Ponte di Legno, nel 1999, Bossi ha fatto il comizio con quei fogli in mano. Nessun giornalista se ne è accorto, ma l’accordo era fatto.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

Iscriviti al canale WhatsApp del GdB e resta aggiornato

Icona Newsletter

@Buongiorno Brescia

La newsletter del mattino, per iniziare la giornata sapendo che aria tira in città, provincia e non solo.