Fidanza: «In Ue serve un centrodestra al governo per Pac e Green deal»

L’eurodeputato di Fratelli d’Italia e capodelegazione del gruppo dei Conservatori e riformisti ha guidato una missione della Commissione agricoltura tra le eccellenze del settore in Lombardia
Carlo Fidanza - Foto Ansa © www.giornaledibrescia.it
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Per due giorni Carlo Fidanza, eurodeputato lombardo di Fratelli d’Italia e capodelegazione di Ecr, ha guidato una missione della commissione agricoltura del Parlamento europeo tra le eccellenze del settore in Lombardia: dal pomodoro al vino, fino al riso. Un viaggio nei punti di forza e nelle fragilità di un comparto strategico, stretto tra le regole del Green Deal, l’accordo Ue-Mercosur e i tagli alla Pac.

Onorevole Fidanza, quale è stato il senso della missione dedicata all’agricoltura?

Il filo conduttore era l’innovazione. Abbiamo visitato realtà fortemente innovative: dal pomodoro al vino fino alle agroenergie. Tutte esperienze unite dall’idea di modernizzare il settore. Questa missione cade in un momento delicato: il bilancio europeo prevede un ridimensionamento dei fondi per la Pac, l’ingresso dell’Ucraina solleva timori enormi per il futuro del comparto e il grano ucraino, che doveva andare in Africa, è finito invece per invadere i mercati europei. Inoltre, ovunque abbiamo raccolto un grido di dolore contro le imposizioni del Green Deal, che rischiano di penalizzare solo i nostri produttori, mentre i concorrenti extraeuropei continuano a esportare con controlli scarsi e standard più bassi.

Il tema dell’accordo Ue-Mercosur divide molto. Che posizione ha l’Italia?

Il testo non si può riaprire, quindi si lavora con misure di compensazione e clausole di salvaguardia. L’Italia ha ottenuto impegni su controlli più severi e sulla possibilità di bloccare l’accordo se un solo Paese subisce squilibri di mercato oltre il 10%. Sono previsti fondi di compensazione per 6,5 miliardi nella programmazione 2028-2034, ma il problema resta nei primi anni. Alcuni settori, come vino e formaggi, guardano con favore all’accordo; carne e riso, invece, sono molto preoccupati. Il punto debole è sempre la mancanza di reciprocità: loro avranno dieci anni per adeguarsi ai nostri standard, ma intanto invaderanno il mercato. Noi non siamo autosufficienti sulla carne, quindi alcune importazioni ci servono, ma resta un tema sensibile.

Anche la PAC è tornata al centro del dibattito. Cosa sta succedendo?

Bisogna distinguere tra regole e bilancio agricolo. Sul bilancio c’è un taglio del 20%. La Commissione dice che esiste un “fondo competitività” aperto anche alle aziende agricole, ma è un fondo per tutti: non è una risposta sufficiente. In un momento di crisi internazionale l’agricoltura andrebbe sostenuta, non ridimensionata. Serve autonomia strategica anche sul cibo. Si apre ora un negoziato lungo, un anno e mezzo, in cui ci batteremo per rimpinguare il bilancio agricolo. Per noi la partita è particolare perché c’è una rinazionalizzazione della Pac: tocca ai governi nazionali fare le scelte. Noi abbiamo un governo che sull’agricoltura ha investito più di ogni altro nella storia dell’Unità d’Italia. Finché c’è il ministro Lollobrigida con il governo Meloni, gli agricoltori possono stare tranquilli. Il tema vero è l’impianto generale, cioè cosa succede se un domani ci fosse un altro governo. Quanto alle regole, c’è la volontà di indirizzare i fondi a chi fa davvero agricoltura, non più a piccoli appezzamenti o rendite improduttive. È un passo avanti, così come l’idea di concentrare risorse su chi ha valore aggiunto o coltiva in zone montane e difficili. Poi bisogna proseguire con la semplificazione e modificare le impostazioni green che hanno appesantito il settore. Molti imprenditori ci hanno detto di pagare costi ambientali sproporzionati, i concorrenti extra-Ue non hanno vincoli simili.

Veniamo alla politica. Il suo nome circola come possibile candidato alla presidenza della Lombardia. Cosa risponde?

Sono voci giornalistiche, premature. È vero che il mio nome gira per ragioni generazionali e di esperienza, ma oggi non c’è nulla di più. Le regionali saranno un grande pacchetto elettorale: Friuli, Piemonte, Sardegna, Sicilia e forse Lombardia e Lazio. Mancano due anni e la politica può cambiare molto.

E i rapporti con la Lega?

Sono buoni. Certo, noi vogliamo far valere i voti che prendiamo, perché Fratelli d’Italia è ormai il primo partito al Nord. È naturale rivendicare spazi, così come accadde alla Lega anni fa quando non era ancora primo partito ma ottenne Veneto e Lombardia grazie a Berlusconi. Abbiamo una classe dirigente pronta e vogliamo rappresentare quel 30% di elettori che ci hanno scelto. Detto questo, la coalizione di centrodestra esiste da 31 anni: discutiamo, ma alla fine l’accordo lo facciamo sempre.

Si parla di un rimpasto in Regione Lombardia. Cosa può dire?

È una partita nazionale, non me ne sto occupando direttamente. Dipenderà dalle scelte del presidente Fontana e dei leader della coalizione.

L’Europa si sta spostando a destra: è realistico immaginare presto una maggioranza di centrodestra anche a Bruxelles?

In parte già esiste. Su immigrazione e Green Deal abbiamo votato spesso con un asse che va dal Ppe ai Conservatori ai Patrioti. Le rigidità restano, soprattutto in Paesi come Germania e Francia, dove non vogliono abbattere la barriera tra centro e destra. Ma prima o poi accadrà, con un processo di «governizzazione» delle destre e, dall’altra parte, una maggiore apertura del Ppe. In Italia abbiamo già dimostrato che un modello di centrodestra solido può funzionare: questo percorso, prima o poi, arriverà anche in Europa.

Sarebbe un bene per l’Unione?

Sì, perché servono pragmatismo e risposte rapide. L’Europa negli ultimi anni è stata fragile, schiacciata da troppa ideologia e burocrazia verde. Non possiamo pensare che chi ha causato la malattia possa anche curarla. Serve cambiare strada, con più concretezza e meno vincoli ideologici.

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