Con la crisi politica cade il mito della stabilità della Germania

«Die Ampel ist erloschen», ovvero «Il semaforo si è spento». La battuta, che si ripete in queste ore nei titoli di giornali e notiziari, rende bene l’idea. Dopo solo tre anni la coalizione tra socialdemocratici, verdi e liberali è ufficialmente morta, e pare del tutto impossibile che la si possa in qualche modo rianimare.
La parola fine l’ha messa il cancelliere Olaf Scholz che ha licenziato il ministro delle Finanze, il liberale Christian Lindner sostituendolo con Jörg Kukies, suo consigliere economico e collega di partito. Quella di licenziare un proprio ministro è una prerogativa prevista dall’ordinamento tedesco e di cui il cancelliere in carica può avvalersi quando viene meno il rapporto di fiducia. E nel caso specifico non si può negare che la fiducia di Scholz verso Lindner (e viceversa) fosse da tempo logorata.
Gli ultimi mesi, in particolare, sono stati un’autentica agonia per la maggioranza, con contrasti sempre più aspri e palesi tra le forze politiche, fino alla constatazione che era diventato impossibile trovare un compromesso per superare le spaccature sulla politica economica e varare una legge di bilancio condivisa da tutti gli alleati.
Una situazione molto grave, considerato che la Germania viaggia sull’orlo della recessione per il secondo anno consecutivo, e tenuto conto della crisi dell’industria automobilistica, con la Volkswagen che minaccia di chiudere stabilimenti. Senza contare che l’elezione di Trump in America comporta la possibilità di nuovi dazi che penalizzerebbero un’economia fortemente orientata all’export come quella tedesca.
Precedenti
Non è la prima crisi di governo della Germania postbellica, ma è una crisi alquanto particolare. Innanzitutto, non è scattata la «fiducia costruttiva», perché non ci sono accordi per sostituire la maggioranza uscente con un’altra. In passato, ai tempi di Brand e Kohl, le crisi si risolsero senza elezioni anticipate con un cambio della formula di governo.
Ma la Cdu di Friedrich Merz non è affatto interessata a sostenere un esecutivo così mal ridotto e poco apprezzato dall’opinione pubblica. Merz preferirebbe accelerare i tempi e andare al più presto al voto, convinto che nella prossima legislatura sarà lui il nuovo cancelliere. Questa crisi, maturata fuori dal parlamento, ricorda se mai quella del 2005, quando Gerhard Schröder la provocò volutamente chiedendo un voto di fiducia e facendo di tutto per perderlo così da andare al voto prima della scadenza, convinto di recuperare consensi in campagna elettorale. Nel caso odierno, il governo rimasto senza maggioranza dovrà esporsi a un voto di fiducia (Scholz lo ha chiesto per metà gennaio 2025, ma la Cdu vorrebbe anticiparlo) e nel caso, assai probabile, di sconfitta, procedere con le elezioni anticipate.
Un trauma non da poco per il mito, sempre meno effettivo della stabilità politica tedesca, e proprio nei giorni in cui si celebra il 35esimo anniversario della caduta del Muro di Berlino.
Le ragioni
Ma come si è arrivati all’implosione del governo semaforo? L’accelerata decisiva è stata impressa nei giorni scorsi dal leader liberale Lindner, il quale ha chiesto a verdi e Spd un riorientamento complessivo della politica economica del governo rinunciando a gran parte del loro programma su politiche sociali ambientali.
In particolare, nel documento presentato da Lindner si prevedeva un taglio degli assegni sociali (reddito di cittadinanza e pensioni) e una moratoria per la neutralità climatica. Il tutto condito con la minaccia esplicita di lasciare il governo, nel caso le sue richieste non fossero state accolte.
A molti era parsa una mossa fatta apposta per favorire la caduta del governo, determinata anche dal desiderio di recuperare consensi per la Fdp dopo gli umilianti risultati delle recenti regionali in Sassonia, Turingia e Brandeburgo (ovunque sotto il 5% e fuori dai parlamenti locali). E così in effetti è stato, solo che il cancelliere ha giocato d’anticipo intestandosi la decisione di aprire la crisi.
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