Brunelli: «A Gaza una pace imposta marginalizzando l’Autorità palestinese»

Michele Brunelli è professore di Storia e Istituzioni dei Paesi Afroasiatici ed è Direttore del Master di II Livello in Prevenzione e contrasto alla radicalizzazione, al terrorismo e per le politiche di integrazione e sicurezza internazionale (MaRTe) presso l’Università degli Studi di Bergamo. È anche docente di Storia delle civiltà e delle culture politiche all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Brescia. Sabato alle 11 sarà protagonista dell’incontro «Iran: i nodi della diplomazia» organizzato nell’ambito del Festival della Pace al Mita - Museo internazionale del tappeto antico in via Privata de Vitalis.
Professor Brunelli, partiamo da Gaza e dai rapporti tra Palestina e Israele. A che punto siamo?
Il Piano Trump 2025 non è un piano di pace, ma è poco più di un cessate il fuoco. Diciamo che non c’è stato un percorso lineare e non si sono gettate le basi per ottenere una pace di lungo periodo. Trump ha imposto immediatamente lo scambio di prigionieri e ostaggi per superare le ritrosie di Netanyahu e, accanto a questo, è stato deciso il ritiro delle truppe israeliane. I passi successivi quali sarebbero dovuti essere? Il disarmo completo di Hamas, la creazione di una governance transitoria sotto la supervisione di una forza multinazionale e la ricostruzione di Gaza. Qui però c’è un punto di debolezza: il piano Trump non riconosce uno Stato Palestinese e quindi non risolve la questione politica di fondo. L’accordo prevede un’esclusione totale di Hamas, ma nel contempo marginalizza l’Autorità palestinese e questo mette a rischio la legittimità locale. La percezione è quella di un piano imposto dall’esterno, calato dall’alto con poca partecipazione palestinese. Il problema è fondamentalmente politico. Non c’è per il momento nessuna figura politica all’interno della compagine palestinese degna di legittimità locale: tutto l’apparato di Fatah è considerato corrotto. Abu Mazen ha 90 anni. Un interlocutore potrebbe essere Marwan Barghuthi ma è in carcere. La questione Hamas non è da sottovalutare. Non vuole rinunciare al controllo del territorio, ma soprattutto non vuole rinunciare al budget che aveva prima della guerra: da fonti acclarate di intelligence si parla di circa un miliardo di dollari per governare Gaza. E legato a questo c’è un altro tema: secondo il piano chi non si piega alla volontà di Trump può lasciare Gaza: non si possono però seminare jihadisti per tutto il Medio Oriente.
Mi fermo su quest’ultimo passaggio. Lei è esperto di terrorismo e radicalizzazione, in che fase siamo attualmente in Europa?
Il terrorismo non è più considerato un allarme sociale, ma i fenomeni di radicalizzazione sono ancora molto presenti. Siamo davanti a un tipo di radicalizzazione personale, dei cosiddetti "lupi solitari" e non più finanziati, come era in precedenza, per esempio attraverso l’ausilio e il supporto dello Stato islamico, che è stato sconfitto militarmente, ma non ideologicamente. In Italia per il momento la situazione è sotto controllo perché abbiamo questo formidabile strumento legislativo che consente, ovviamente una volta sentito il prefetto e il ministro dell’Interno, di procedere all’immediata espulsione del soggetto in caso di pericolo di terrorismo. C’è però un problema di radicalizzazione, che le forze dell’ordine fortunatamente non sottovalutano, al contrario di quello che fa la politica.
Passiamo all’incontro di domani. Tra Iran e Europa c’è più conflitto o dialogo?
Da una prospettiva di carattere storico sono più i secoli in cui l’Europa è stata alleata con la Persia e con l’Iran che viceversa. Attualmente c’è da parte di Pezeshkian il tentativo di riaprire un dialogo sia con l’Europa sia con gli Stati Uniti, essenzialmente per una stabilizzazione di carattere economico. Vuole alleggerire l’impatto delle sanzioni attraverso la diplomazia e non tramite rotture ideologiche. Le sue tre parole d’ordine sono: onore, saggezza e convenienza. È una formula che da un lato tiene aperta la porta con saggezza, dall’altra però segnala la continuità con la Guida suprema attraverso un forte accento pragmatista. Pezeshkian sta cercando di aprire le porte, ma gode di una limitata autonomia.
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