A che punto siamo con le Unioni dei Comuni

Oltre trent’anni dopo le prima legge che le ha disciplinate, le Unioni dei Comuni restano un progetto che non è ancora arrivato a compimento, e probabilmente mai ci arriverà.
Create con la legge 142 del 1990, modificata nove anni più tardi con l’eliminazione dei vincoli più stringenti - tra cui la fusione tra i Comuni dopo dieci anni di unione -, nel 2010 le Unioni sono state riviste e aggiornate con l’obbligo per i Comuni sotto i 5mila abitanti (3mila se montani) di gestire in forma associata una decina di funzioni fondamentali, come polizia locale o gestione amministrativa, per citarne un paio.
L’obiettivo, almeno in prima battuta, era insomma quello di avere meno municipi, ma più grandi ed efficienti.
Un percorso a ostacoli, con aggiustamenti di tiro e scadenze sin da subito prorogate di anno in anno, fino alla sentenza del 2019 della Corte costituzionale che ha dichiarato illegittimo l’obbligo di associarsi, se i Comuni dimostrano che non c’è una vera convenienza economica. L’unione, insomma, è diventata volontaria, ma resta obbligatoria (anche qui, però, con scadenza sempre posticipate) la gestione associata delle funzioni fondamentali.
Nel Bresciano
Nella nostra provincia la geografia delle Unioni è cambiata più volte: oggi se ne contano dieci iscritte all’apposito Registro regionale - ma siamo arrivati ad averne 13 -, per un totale di 40 paesi, a cui si aggiunge quella dei Comuni della Bassa bresciana occidentale che ne associa altri 6, per un totale di oltre 135mila cittadini residenti.
Stando alle dimensioni previste dalla legge, però, dovrebbe «unirsi» poco meno del 60% dei 205 municipi bresciani.
Modello bimodale
Un traguardo ancora distante se si guarda solo alla creazione delle Unioni, ma bisogna considerare il peso che nella nostra provincia hanno le Comunità montane, che Regione ha scelto di valorizzare in controtendenza rispetto alla volontà dello Stato centrale, che con la Finanziaria 2008 ne aveva disposto la soppressione.
Succede così che nelle valli tutti i Comuni facciano parte di una Comunità montana che già eroga alcuni servizi di base in forma associativa (come il governo del territorio, la tutela dell’ambiente, la protezione civile e la gestione del rischio incendi), e che pochi altri aggiungano anche la partecipazione a un’Unione.
In condivisione
La funzione più condivisa è la polizia municipale (adottata da tutte le Unioni), seguita dai servizi in materia statistica, l’organizzazione generale dell’amministrazione e della gestione finanziaria e contabile, la pianificazione urbanistica e la protezione civile.
Per iscriversi al Registro regionale è necessario associare almeno cinque funzioni, e in base a questo numero variano anche i fondi erogati.
Finanziamenti
Non è infatti un mistero che spesso aderire a un’Unione sia un modo per ricevere qualche trasferimento di denaro in più in tempi in cui il Governo sta riducendo i fondi destinati ai Comuni.
Nel 2024 Regione Lombardia ha erogato alle Unioni bresciane, tra contributi ordinari (332.992 euro), contributi straordinari (133.627 euro) e contributi statali regionalizzati per le gestioni associate (il cosiddetto Costarga, che per Brescia vale 692mila euro) un totale di 1,15 milioni di euro, a cui vanno aggiunti anche i 512mila euro per le Comunità montane e altri fondi destinati ai Piccoli Comuni, quelli sotto i 5mila abitanti.
Soldi sicuramente importanti per garantire il funzionamento della macchina amministrativa, ma su cui grava un peso della burocrazia così alto che sempre più Unioni riflettono su quanto ne valga davvero la pena. I sindaci sono dunque chiamati a mettere sul piatto costi e benefici, e non sempre il vantaggio è così evidente. Lo dimostrano anche i numeri del Registro regionale lombardo, secondo cui tra il 2023 e il 2024 le Unioni dei Comuni sono scese da 54 a 51, con quattro cancellazioni e un’iscrizione.
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